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Questo sito tratta in maggior parte del Culto Tradizionale Romano.

Spesso si sente definire la Tradizione: “vecchio culto”, oppure “antica religione”,

il nome di questo spazio tende a sottolineare che il Culto degli Dèi, essendo Essi per definizione “Eterni, Impassibili e Immutabili” non può che essere tale.

Il Fuoco è quello interno in ognuno di noi, il Fuoco di Vesta, ma non solo quello fisico, il ponte cioè che permise a Roma di divenire un vero e proprio Santuario a cielo aperto, spento dal tiranno Teodosio nel 391, è soprattutto la nostra anima.

“Il Fuoco Eterno” si prefigge non solo di raccontare e divulgare la Tradizione dei Padri, ma anche la storia dei nostri Popoli e della nostra Nazione.


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domenica 19 aprile 2020

La Fondazione di Roma: il Solco e i Palilia

La fondazione dell'Urbe

Secondo l'Eneide, Enea figlio di Venere fuggì da Troia in fiamme portandosi sulle spalle il padre, Anchise e il figlioletto Ascanio e, dopo varie vicissitudini, approdò nelle coste del Latium dove fonda la città di Lavinium, dal nome di Lavinia, la figlia di re Latino, con la quale si sposò non senza difficoltà.


Van Loo, Charles Andrè - Enea salva il padre dall'incendio di Troia - 1729


30 anni dopo Ascanio decide di fondare una nuova città, Alba Longa, sulla quale i suoi discendenti regnarono diversi secoli fino ad arrivare all'epoca di Numitore (VIII secolo a.e.v.)
che venne spodestato dal fratello, Amulio, che costrinse Rea Silvia, figlia di Numitore a consacrarsi Vestale facendo quindi voto di castità.

"Ma la violenza potè più della volontà del padre o dell'età maggiore del primogenito.
Dopo aver estromesso il fratello, Amulio inizia il suo regno. Commise un crimine dietro l'altro. I figli maschi del fratello furono uccisi" (Tito Livio, Ab Urbe Condita).

Tuttavia il Dio Marte si invaghì di Rea e dopo averla posseduta in un bosco sacro la rese madre dei gemelli fatali: Romolo e Remo.

Amulio, saputo ciò ordina che Rea Silvia sia messa a morte, come prevedeva la legge per le vestali non caste, e l'annegamento dei bambini.
Il sicario incaricato ebbe un attimo di esitazione e i gemelli furono abbandonati in una cesta sulla riva del Tevere.

La cesta si incagliò nella palude del Velabro alle pendici del Palatino sotto un fico (ruminale) vicino alla grotta Lupercale.


Peter Paul Rubens - Romolo e Remo - 1616


Vennero qui accuditi da una Lupa e un Picchio fino al loro ritrovamento da parte di Faustolo, un pastore che insieme alla moglie Acca Larentia, decise di crescerli come suoi figli.

Una volta adulti, Romolo e Remo uccisero Amulio e rimisero sul trono cittadino Numitore ottenendo il permesso dal nonno di fondare una nuova città dove erano cresciuti.

"Siccome erano gemelli e il rispetto per la primogenitura non poteva funzionare come criterio elettivo, toccava agli dei che proteggevano quei luoghi indicare, interrogati mediante aruspici, chi avrebbe dato il nome alla città e chi vi avrebbe regnato. Per interpretare i segni augurali, Romolo scelse il Palatino e Remo l'Aventino. Il primo presagio, sei avvoltoi, si dice toccò a Remo. Dal momento che a Romolo ne erano apparsi dodici quando ormai il presagio era stato annunciato, i rispettivi gruppi avevano proclamato re entrambi. Gli uni sostenevano di aver diritto al potere in base alla priorità nel tempo, gli altri in base al numero degli uccelli visti. Ne nacque una discussione e dallo scontro a parole si passò al sangue: Remo, per prendere in giro il fratello, avrebbe scavalcato le mura appena erette e quindi Romolo, al colmo dell'ira, l'avrebbe ucciso aggiungendo queste parole di sfida: «Così, d'ora in poi, possa morire chiunque osi scavalcare le mie mura». In questo modo Romolo s'impossessò del potere e la città prese il nome del suo fondatore."

La data di fondazione risulta il 21 aprile dell'anno 753 a.e.v. e le recenti scoperte, come quella del Lapis Niger da parte di Giacomo Boni, e la recentissima (21 febbraio 2020) del cosiddetto "sepolcro di Romolo" confermano la leggenda, come volevasi dimostrare.

I Palillia

Il 21 aprile è anche data della celebrazione dei Palilia (o Parilia) antichissima festa di origine pastorale e si dice che la Fondazione dell'Urbe avvenne proprio durante questa festività.




Era una festa di purificazione delle greggi, la società romana e latina all'epoca era prevalentemente pastorale, ove si chiedeva lustrazione e perdono per eventuali violazioni di luoghi sacri alla Dea Pale.

Nella cerimonia urbana in Roma, come ci descrive Ovidio, si eseguiva una lustrazione sull'altare di Vesta e la Vestale Maxima vi bruciava incenso e profumi mescolati alle ceneri del vitello dei Fordicidia e sangue del cavallo dell'October Equus e steli di fave.




Nelle campagne invece il pastore aspergeva d'acqua il gregge, lustrava e spazzava l'ovile ornandolo di ramoscelli di arbor felix.
Bruciava poi ramoscelli d'ulivo, zolfo, erbe sabine, fronde d'alloro immerse in acqua di fonte, con delle fiaccole.
Offriva quindi latte, miglio e pizze di miglio a Pale e recitava per quattro volte, rivolto ad est,  una preghiera, nella quale si chiedeva perdono a Pale per aver eventualmente recato offesa a qualche Genio del luogo con determinati atteggiamenti da parte sua o del suo gregge, chiedendo alla Dea l'intervento al fine di placare eventuali Numi di boschi o fonti offesi dal gesto:

"violato luoghi sacri come alberi, erba di tombe, boschi interdetti;
tagliato fronde di boschi sacri;
essersi rifugiato col gregge in templi per sfuggire il maltempo;
aver turbato laghi e fonti cogli zoccoli degli animali.
Visto esseri divini (Fauno, Diana, ninfe ed ogni altro nume dei luoghi selvaggi anche ignoto) obbligandolo con ciò a fuggire.(Ovidio, Fasti, IV, 746-776.)

Dopodiché si lavava le mani, beveva latte e sapa e doveva saltare tre volte le stoppie incendiate.
La sera si svolgevano inoltre salti fra i fuochi a cui oltre i pastori anche il popolo intero e, in epoca arcaica, i Rex partecipavano come lustrazione.

I rituali dei Palilia, soprattutto quelli agresti, denotano una certa similitudine con la festività gallica di Belotepnia, solitamente celebrata il 1 maggio e tuttora diffusa nelle isole britanniche e non solo.


In epoca moderna

Il Natale di Roma venne celebrato in modo sfarzoso durante tutta l'epoca imperiale a partire dal Principato di Augusto fino alla caduta definitiva dell'Impero.
Dopo secoli di oblio fu ripristinata nel Quattrocento dagli umanisti dell'Accademia Romana ma fu riportata veramente in auge a partire dal Risorgimento.

I rivoluzionari della Repubblica Romana festeggiarono la ricorrenza nel 1849 con la cacciata della tirannia papale. Si racconta di un pasto ai Fori con brindisi per la Fondazione dell'Urbe da parte di Romolo e la rifondazione (liberazione) da parte dei rivoluzionari stessi. 

Dopo il 1870 tornò pressoché ad essere una tradizione.
Una rievocazione colossale e fastosa delle “Palile" si ebbe il 4 maggio 1902 sul Palatino per iniziativa dei soci del Circolo artistico. Riportano le cronache che davanti a un pubblico foltissimo sfilò una lunga teoria di pretoriani, porta-insegne, patrizi, littori, schiavi, fanciulle che gettavano fiori, sacerdoti e vittimari con un vitello e pecore. Seguivano lettighe, portantine con matrone condotte da schiavi, file di mimi, ginnasti e trombettieri, il coro e un carro con un tripode su cui bruciavano gli incensi. Chiudevano la sfilata un numeroso gruppo di popolani e alcuni carri carichi di doni. Fu cantato il Carmen saeculare tra squilli di trombe, vennero lanciati colombi e accesa l’ara profumata d’incensi. Terminati i sacrifici alle dee Pale e Roma, si assisté al lancio del giavellotto, al salto, alla lotta, al lancio del disco e a gare di corsa.

Dal 1924 divenne, per istituzione del governo Mussolini, festa nazionale che fu celebrata fino alla seconda guerra mondiale.
Abolita nel 1945 e ridotta quindi a festa popolare cittadina negli ultimi anni si celebrano rievocazioni e ricostruzioni storiche.





Possis nihil Urbe visere maius.


Gianluca Vannucci





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