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Questo sito tratta in maggior parte del Culto Tradizionale Romano.

Spesso si sente definire la Tradizione: “vecchio culto”, oppure “antica religione”,

il nome di questo spazio tende a sottolineare che il Culto degli Dèi, essendo Essi per definizione “Eterni, Impassibili e Immutabili” non può che essere tale.

Il Fuoco è quello interno in ognuno di noi, il Fuoco di Vesta, ma non solo quello fisico, il ponte cioè che permise a Roma di divenire un vero e proprio Santuario a cielo aperto, spento dal tiranno Teodosio nel 391, è soprattutto la nostra anima.

“Il Fuoco Eterno” si prefigge non solo di raccontare e divulgare la Tradizione dei Padri, ma anche la storia dei nostri Popoli e della nostra Nazione.


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sabato 8 ottobre 2022

La fine di Malatesta

Tomba di Sigismondo, cappella delle Virtù


Dopo i grandi successi e riconoscimenti sembrava essere sempre più luminosa la stella di Sigismondo. I lavori al Tempio procedevano spediti, le battaglie un successo, si era sposato ufficialmente (e questa volta per amore) con Isotta degli Atti ma ombre sempre più fosche apparivano all'orizzonte.

Tutto infatti cambiò quando sul soglio papale salì Pio II alias Enea Piccolomini.

Esso vide l'opera e notò alcuni dettagli, l'uso dei termini gentili come “Diva Isotta” nonché di alcuni simboli ed essendo dotato di animo scaltro e avendo studiato la classicità (tanto che molti tuttora lo stimano in quanto "papa umanista") capì subito il progetto del Signore di Rimini e della Sua corte, formata da discepoli di Giorgio Gemisto Pletone.

Alfonso d'Aragona dominatore di Napoli non era dimentico inoltre della sconfitta inflittagli dal Malatesta a Firenze 10 anni prima e alleatosi con l'acerrimo nemico di Sigismondo, Federico da Montefeltro, messo in capo alle armate della chiesa da Pio II inflissero pesanti sconfitte a Malatesta.

Il 1460 inoltre il papa, forte della sua egemonia grazie agli alleati di Aragona e Montefeltro e avendo isolato Malatesta lo scomunicò e l'anno successivo celebrò un processo farsa in contumacia bruciando pubblicamente la sua effige.

Si effettuarono, da parte di Pio II, anatemi contro Sigismondo Pandolfo Malatesta ed iniziò una vera e propria macchina del fango messa in moto dagli organi e intellettuali di corte papali, Malatesta venne accusato di essere eretico, bestemmiatore e colpevole ogni crimine e bassezza irripetibile in questa sede, credenza che è perdurata fino a non molti anni fa storicamente, anche a causa dei "Commentarii" scritti da Pio II del 1462 nei quali, riferendosi al Tempio Malatestiano, scriveva “fece costruire a Rimini un nobile tempio dedicato a San Francesco, tuttavia lo riempì di opere pagane, così che sembrava un tempio non di cristiani ma di infedeli adoratori di demoni” ma anche “venia da chiedersi a qual schiatta appartenesse il Malatesta, così circuito da uomini greci, forse la medesima dell'orrendo Apostata antico” (chiaro riferimento all'Imperatore Giuliano). 

Ritirò presto quindi ogni onoreficenza concessa a Sigismondo in passato dai papi e lo maledì alle fiamme dell'inferno.

La storiografia ufficiale riporta che era a causa dei debiti riportati, possiamo facilmente intuire che la paura di questo tiranno fosse dovuta al progetto di Sigismondo.

Gli ingenti debiti di guerra causati dalle sconfitte e dall'isolamento inflittogli dalla chiesa nella Penisola portò a bloccare il proseguimento del progetto di costruzione del Tempio già nel 1461.

Con la fine del pontificato di Pio II e un aiuto dei Veneziani, Sigismondo Pandolfo Malatesta si riprese un poco, ma aveva ormai mantenuto la sola città di Rimini.

Nel 1464 si imbarcò nella guerra di Morea contro gli ottomani, impresa ardua rifiutata da ogni altro regnante italiano e riuscì a recuperare le spoglie di Giorgio Gemisto Pletone, Suo Maestro, che fece deporre in un sepolcro sulla fiancata destra del Tempio fra "uomini colti e liberi” insieme a quelli di Roberto Valturio e Basinio da Parma, suoi fedeli cortigiani e anch'essi discepoli di Pletone.


sepolcro di Gemisto Pletone, Tempio Malatestiano

Tornato in Italia, stanco e provato, nel 1466 depose in favore di Isotta e Suo figlio Sallustio. Fu a quel punto che il nuovo papa, Paolo II, meschinamente mentre muoveva contro Rimini di nascosto gli propose di cedergli l'ormai unico possedimento rimastogli al che Sigismondo rispose fieramente “quella povera città che m'è rimasta ove son la maggioranza delle ossa delli miei antiqui m'è meglio morir con onore che ricever tale vilipendio ...” “io aspettaria inanzi mille morti che lassarmi congiongere a tal caso e victoperio di tutti li miei passati”.

Poco dopo, sicuramente provato dalla cattiveria usatagli contro, nonché dalle faticose imprese in cui si cimentò, morì nel 1468.

Qualche decennio dopo, nel 1500 le truppe dello Stato della Chiesa riconquistarono Rimini, esiliando e disperdendo gli eredi della Signoria Malatestiana e facendo presto rimpiangere al popolo riminese i tempi d'oro di Malatesta.

Termina così l'epopea di un principe che voleva tornare a congiungersi con gli antichi, un mio e nostro celebre antenato troppo spesso dimenticato a causa della propaganda e delle leggende nere inquisitorie. Lasciando così incompiuto un progetto di vita, un Tempio senza cupola, degna purtroppo rappresentazione del Rinascimento italiano, strozzato dalla reazione ecclesiastica.


Gianluca Vannucci





domenica 2 ottobre 2022

Il Tempio Gentile Malatestiano



Forte di diversi successi: militari, familiari nonché economici, allo scoccare dei 30 anni Sigismondo Pandolfo, coadiuvato dagli intellettuali che lo circondavano a corte,

probabilmente anche dal maestro Pletone e soprattutto dalla compagna, vero e unico amore della sua vita, pensò di dar vita al più grande progetto di restaurazione del culto Gentile in Italia.

Al fine di sciogliere un voto riguardante “i moltissimi e gravissimi pericoli scampati e le vittorie riportate nella guerra italica” riferendosi probabilmente alle campagne di Toscana conclusesi col trionfo fiorentino, nel 1447 commissionò dei lavori nell'allora chiesa di San Francesco, da più di un secolo sede dei sepolcri della famiglia Malatesta.

Essa era un edificio duecentesco ormai diroccato e decadente, nel IX secolo era chiesa di Santa Maria in Trivio (probabilmente un vecchio tempio romano dedicato a Diana Trivia) fu poi ristrutturato nel 1257 dai francescani in modo spartano e semplice.

Il primo intento fu quello di costruire una cappella a San Sigismondo, suo santo protettore

come dimora delle spoglie di Pandolfo Malatesta e nel 1447 ottenne autorizzazione papale per costruire all'interno della chiesa un'ulteriore cappella sepolcrale per Isotta.

La posa solenne della prima pietra avvenne il 31 ottobre 1447.

I migliori artisti e architetti dell'epoca furono chiamati dal Signore di Rimini, che ora come priorità dopo le tante battaglie pareva solo aver la realizzazione di questo progetto: il futuro Tempio Malatestiano.

La realizzazione dell'esterno fu affidata a Leon Battista Alberti e doveva essere nelle forme simile alle costruzioni romane, prendendo spunto quindi dall'Arco costruito dal Divo Augusto, che Sigismondo ammirava e in cui onore fece battere moneta commemorativa proprio in quegli anni.

L'involucro in marmo che ricopre la vecchia chiesa agisce come un cappotto e l'effetto dell'opera incompiuta che lascia trapelare la cima della chiesetta antica riassume involontariamente la storia del Rinascimento, strozzato dalla reazione oscurantista ecclesiastica quindi rimasto purtroppo incompiuto negli intenti di rinascita culturale e religiosa.


Il progetto non è un mero restauro della vecchia chiesetta di San Francesco, cancellata totalmente dal progetto dell'Alberti e nemmeno, come dissero le calunnie successive, di pura vanagloria personale.

Non sarebbe possibile ciò a dimostrazione del fatto che agli artisti fu da Pandolfo vietato firmarsi.

Bensì l'idea di ricostruire l'antico Pantheon presente in epoca romana e almeno fino al VI secolo ai tempi della dominazione giustinianea nella città, poco distante proprio dal Tempio.

Infatti ad opera compiuta sarebbe risultato dotato di una cupola con foro in modo identico a quello del Pantheon, come mostra una moneta celebrativa dell'opera.

In esso si nota, dall'ingresso fino al cammino, purtroppo incompiuto, tra le 6 cappelle originali malatestiane, un raffinato percorso iniziatico, incomprensibile ai più.

Tutto è disseminato di simboli e figure allegoriche, oltre che esplicite, di Deità.

Dalla ricorrenza degli elefanti, simbolo della stirpe malatestiana, alle lettere SI, che sono certamente le iniziali di Sigismondo ma la I ricorda un bastone e la S un serpente

formando il bastone di Esculapio, inoltre le lettere, ossessivamente ripetute a coppie SI formano Isis, davvero esplicativo.


Descrivendo l'interno del Tempio “dedicato al Dio Immortale” dall'ingresso la prima cappella a destra è quella dedicata a San Sigismondo, inteso come il Genio di Sigismondo Pandolfo Malatesta (e infatti troviamo il suo sepolcro personale nella stessa) detta anche cappella delle Virtù. 

Sono infatti, oltre alla statua di San Sigismondo sorretto da due elefanti al centro, rappresentate magistralmente da Agostino di Duccio le varie Virtù eccetto la Giustizia, infatti secondo Platone esse sono la base, necessarie all'uomo pio (e quindi anche all'iniziato) soprattutto se principe e sommando le 3 Saggezza, Coraggio e Temperanza;  padroneggiandole si può raggiungere alla suprema Virtù: la Giustizia, degna del governante (o dell'uomo) giusto.

Vengono altresì aggiunte le cristiane Speranza, Fede, Carità e Prudenza.

Cappella delle Virtù

Nello spazio tra la prima e seconda cappella vi è la celletta delle reliquie, il penus del Tempio sovrastato dalla raffigurazione della virtù della Fortezza, cui Sigismondo era molto legato.

In origine vi era l'uscita laterale della chiesetta di San Francesco, venne realizzata per custodire come i pignora fatali, gli oggetti più sacri e preziosi della città.

Al suo interno troviamo anche il famoso affresco di Piero della Francesca, “Sigismondo in preghiera davanti a San Sigismondo” l'interpretazione ufficiale riporta il San Sigismondo raffigurato come in realtà l'Imperatore Sigismondo del SRI, che conferì il titolo di cavaliere a Sigismondo Pandolfo Malatesta, ma la particolare raffigurazione del santo ovvero globo

e scettro farebbe pensare alla rappresentazione di Dio Padre e il Signore di Rimini al Suo cospetto accompagnato dal suo Genio: il cane bianco-nero. Oppure, ma questa è una mia interpretazione, Sigismondo Pandolfo iniziato davanti al suo maestro: Gemisto Pletone.

Proseguendo, la seconda cappella è quella degli Angeli, ove riposa Isotta degli Atti, sul cui sepolcro, sorretto da elefantini bianchi è inciso “tempus loquendi tempus tacendi” la dedica "Diva Isotta" e la data del 1450, che è puramente simbolica in quanto essa morì nel 1478.

Al centro della cappella poi vi è una statua di San Michele Arcangelo e nelle colonne vari angeli che suonano trombe e portano stemmi.

Cappella degli Angeli

Il numero 1450 è ripetuto quasi ossessivamente all'interno del Tempio e nelle medaglie

fatte coniare dal Sigismondo. Oltre alla data in cui avrebbe dovuto essere completato il

Tempio esso cela un altro significato.

1450 è una cifra infatti progressiva, ovvero ogni numero che la compone è superiore al

precedente, fino allo 0, che rappresenta il concetto di vuoto ma anche pieno.

Sommando ogni numero che compone la cifra 1450 si arriva a 10, la sacra Decade

pitagorica.


La terza cappella, l'ultima di destra, è quella più spettacolare ed enigmatica ovvero la

cosiddetta cappella dello Zodiaco. Qui infatti sono raffigurati magistralmente grazie al Di

Duccio nelle colonne (e in modo esplicito) diverse Divinità romane.

Troviamo ad esempio nella colonna di sinistra alla base il segno del Cancro, che domina la

città di Rimini, segno di Pandolfo quindi del protettore della città nonché sovrano, a fianco

La Dea Luna e ancora gli effetti della Luna sulla Terra, raffigurante un uomo in balia delle

acque.

Troviamo poi Mercurio, Venere e a destra Giove con l'aquila, Saturno con la falce e Marte

con a fianco nei rilievi i vari segni dello zodiaco governati dagli Stessi.

Solo il Sole col Leone sono nel punto centrale, in alto, dell'arcata.

In modo molto curioso Provvidenza ha voluto poi che in epoca moderna, dopo che l'antica cattedrale di S. Colomba, sede vescovile, fu abbattuta nel 1815 da un privato sotto il governo napoleonico, un rilievo bronzeo proprio di Santa Colomba (identificata con lo Spirito Santo, quindi l'Anima Mundi) fosse posto proprio al centro di questa cappella.

Cappella dello Zodiaco

Iuppiter
     
Saturnus
Mercurius
 
       
Santa Colomba

Veniamo ora alle cappelle di sinistra, con quella delLe Muse, ove sono raffigurati in vari

rilievi Apollo e Le Muse che rappresentano le arti umane.

A mio avviso al centro di questa cappella sarebbe potuto trovarsi la statua di Orfeo, magari una simile a quella romana ritrovata negli scavi della domus del chirurgo greco Eutyche. Oggi purtroppo dedicata dal vescovo locale a san Giuseppe, che però ha una insolita posa. 

Cappella delLe Muse

Apollo

Vi è poi la cosiddetta cappella dei giochi infantili, coi sepolcri delle due prime mogli del

Malatesta: Ginevra d'Este e Polissena Sforza, con rilievi di piccoli Genii che giocano.

Oggi al centro campeggia una pacchiana statua di Gaudenzo, il patrono della diocesi.

Cappella dei giochi infantili

Infine la prima cappella a sinistra, quella degli Antenati. Qui riposano tutti gli antenati

Malatesta, accolti insieme in un unico sarcofago funebre ove campeggiano, oltre ai rilievi

di Sigismondo Pandolfo anche quello del trionfo di Publio Cornelio Scipione, da cui la

famiglia Malatesta riteneva di discendere e di cui Pandolfo si riteneva personalmente la reincarnazione, nonché il trionfo della saggezza con Minerva tra le colonne di un tempio, probabilmente quello antico riminese dedicato alLa Dea.

Il recinto di questa cappella è ornato da una notevole quantità di Genietti e dalla

ripetizione delle lettere SI, che oltre ad essere le iniziali di Sigismondo (ma anche di

Sigismondo e Isotta) ricorda per la forma della S il bastone di Esculapio, e ripetuta a

gruppi di due forma “Isis”.

Curioso dato che al centro di questa cappella vi è la statua della Madonna della pietà, meglio nota al popolo riminese come Madonna dell'acqua poiché invocata e portata in processione nei

momenti di siccità e tale venne ritenuta sempre sia dal clero locale che dalla popolazione

tanto che nel 1584 in occasione di una tremenda siccità diverse persone cominciarono a

raccomandarsi e a portare degli ex-voto presso la statua e poco dopo avvenne una pioggia

leggera e fluente riportando serenità e benessere. Lo stesso miracolo si ripetè nel 1620 e da

allora fu profondamente venerata. L'idolo consiste in una statua in alabastro del 1400

raffigurante una Madonna della Pietà col Cristo e una mandorla mistica raffigurata alla

base del dado, posta sin da subito da Pandolfo in questa cappella.

Per le sue caratteristiche, simboliche e cultuali nonché per il curioso ripetersi del simbolo

SI anche in prossimità (Malatesta non faceva le cose a caso) appare evidente come dietro

questa Madonna dell'Acqua si celi la Dea Iside, il cui culto a Rimini ebbe diffusione già

dal II secolo e che doveva avere culto proprio qui, il Cristo morto è facilmente

interpretabile poi con Osiride.

La cappella poi è detta anche delle Sibille poiché è contornata dai rilievi di dieci Sibille, da

quella Cumana a quella Delfica nonché da due profeti biblici dall'oscuro significato: Michea e

Isaia.

Cappella degli Antenati

Madonna dell'acqua


Sembrava procedere bene per Sigismondo Pandolfo, il pontefice umanista Nicolò V gli

aveva concesso il benestare nel 1450, compiaciuto dell'opera, riconfermandogli vicariato e

successione dei figli ricevendolo con onore.

Nel 1456 sposò sontuosamente Isotta coronando il loro sogno di matrimonio non

traendone alcun vantaggio politico. [continua...]


Gianluca Vannucci

sabato 24 settembre 2022

L'ascesa di Sigismondo Pandolfo Malatesta

 


Calunniato nei secoli da storici ecclesiastici e dalla macchina propagandistica di Pio II, Sigismondo Pandolfo Malatesta nato il 19 giugno 1417 fu un abile condottiero, illustre generale, governatore e soprattutto colto mecenate.

Lo zio Carlo I Malatesta, senza figli, affidò a Lui la signoria di Rimini e Fano che  assunse nel 1432, appena 15enne. 

Sposò subito Ginevra D'Este, legandosi alla dinastia ferrarese e nello stesso anno l'Imperatore Sigismondo lo investì ufficialmente come cavaliere del Sacro Romano Impero. Appena due anni dopo inoltre papa Eugenio IV lo arruolò capitano generale della Chiesa.

Già nel 1437 commissionò la sua prima grande opera: Castel Sismondo, la rocca che domina Rimini dall'allora piazza del mercato, un sito strategico a fianco della cattedrale (e al tempo sede vescovile) di Santa Colomba e dietro la piazza del Comune.


A titolo di Cavaliere dell'Impero e Capitano generale della Chiesa partecipò al Concilio di Ferrara del 1438 e di Firenze indetto per tentare di unificare le chiese d'oriente e occidente, ove alla corte estense e a quella dei Medici poi conobbe la delegazione bizantina e, ascoltando i discorsi del filosofo gentile neoplatonico Giorgio Gemisto Pletone ne rimase colpito e divenutone discepolo si avvicinò alla Tradizione Gentile, approfondendo anche la filosofia Neoplatonica.


Frequentando le corti ferrarese e fiorentina Sigismondo entrò in contatto, oltre che con la famiglia Estense, a cui era già legato, anche con quella Medicea e con alcuni dei più importanti letterati e artisti dell'epoca, alcuni dei quali si trasferirono alla sua corte a Rimini.

Ben presto la città divenne un polo rinascimentale secondo solo a Firenze grazie anche all'apporto del poeta Basinio da Parma autore del poema Hesperis, e lo storico Roberto Valturio autore del De Re Militari dedicato proprio a Sigismondo Pandolfo, lodato come l'ultimo Imperator.

Anch'essi erano seguaci di Gemisto Pletone, creando nella città che fu porta d'Italia forse la più grande corte umanistico-filosofica nonché gentile dopo quella Medicea.


Tralasciando i pur gloriosi e importanti successi militari del Sigismondo contro lo storico nemico Federico da Montefeltro e un altro matrimonio combinato con Polissena Sforza nel 1442, il suo più importante legame affettivo fu con Isotta degli Atti che conobbe quasi da ragazzina. La loro relazione divenne pubblica solo nel 1449 anche se ebbero un figlio morto poco dopo nel 1447 poiché morì la allora moglie di Pandolfo, Polissena Sforza. [continua...]


Gianluca Vannucci

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