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Questo sito tratta in maggior parte del Culto Tradizionale Romano.

Spesso si sente definire la Tradizione: “vecchio culto”, oppure “antica religione”,

il nome di questo spazio tende a sottolineare che il Culto degli Dèi, essendo Essi per definizione “Eterni, Impassibili e Immutabili” non può che essere tale.

Il Fuoco è quello interno in ognuno di noi, il Fuoco di Vesta, ma non solo quello fisico, il ponte cioè che permise a Roma di divenire un vero e proprio Santuario a cielo aperto, spento dal tiranno Teodosio nel 391, è soprattutto la nostra anima.

“Il Fuoco Eterno” si prefigge non solo di raccontare e divulgare la Tradizione dei Padri, ma anche la storia dei nostri Popoli e della nostra Nazione.


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lunedì 8 maggio 2023

Decio Mure e il rituale della Devotio

 Nel contesto delle Guerre Sannitiche, nel 340 a.e.v. (414 A.U.C.) Decio Mure, console insieme a Tito Manlio Torquato si trovò insieme al collega nella Battaglia del Vesuvio contro i Latini.

Sebbene il Fato arridesse da principio ai Romani, nel corso della battaglia gli hastati romani dovettero riparare tra i principes, qui, vista la difficile e quasi irrimediabile situazione, Decio Mure prese una drastica decisione.

La Devotio era un antichissimo rito nel quale un Romano si vota agli Dèi in cambio della sconfitta nemica.

Presero quindi gli asupici dal fegato di un aruspice e dopo che il suo collega Manlio ricevette buoni segni, Decio decise di votarsi, seguendo quindi le indicazioni del Pontefice...

“il console Decio chiama a gran voce Marco Valerio. “Suvvia dunque, pubblico pontefice del popolo romano, suggeriscimi le parole con le quali devo immolarmi per la salvezza delle legioni”. Il Pontefice gli ordinò di indossare la toga pretesta e di dire, col capo velato, levando lamano di sotto la toga fino a toccare il mento, ritto su un giavellotto posto sotto i suoi piedi: “O Giano, o Giove, o Marte padre, o Quirino, o Bellona, o Lari, o Dèi Novensili, o Dèi Indigeti, o Dèi che avete potere su di noi e sui nemici, e Voi, o Dèi Mani, Vi prego, Vi supplico, Vi chiedo e mi riprometto la grazia che Voi accordiate propizi al popolo romano dei Quiriti potenza e vittoria, e rechiate terrore spaventoso e morte ai nemici del popolo romano dei Quiriti. 

Così come ho espressamente dichiarato, io immolo insieme con me aGli Dèi Mani e alla Terra (Tellus), per la Repubblica del Popolo Romano dei Quiriti, per l’esercito, per le legioni, per le milizie ausiliarie del popolo romano dei Quiriti, le legioni e le milizie ausiliare dei nemici”.

Dopo aver innalzato questa preghiera ordina ai littori di andare da Tito Manlio e di annunziare sollecitamente al collega che egli si era immolato per l’esercito. Quindi con la toga cinta alla maniera dei Gabini, balzò armato a cavallo, e si lanciò in mezzo ai nemici sotto gli occhi di entrambi gli eserciti, apparendo loro d’aspetto alquanto più maestoso di quello umano, quasi fosse inviato dal cielo come vittima espiatoria di tutta la collera degli Dèi, per stornare la rovina dai suoi e per riversarla sui nemici.”

(Tito Livio Ab Urbe Condita)


In sostanza in questo modo ci si carica di tutta la negatività possibile e, scagliandosi nella mischia si cerca di rimanere uccisi poiché in effetti il votato è già un morto in vita.

Dai libri di diritto pontificale: "Se l'uomo votato muore, il voto è sciolto; se non muore si seppellisca un fantoccio alto 7 piedi o più e si faccia un sacrificio espiatorio.

Nessun magistrato romano metta piede ove è sepolto.

Se il comandante vota sè stesso e non muore, non può più compiere sacrifici né pubblici né privati, può unicamente dedicare le sue armi a Vulcano o altro Dio. Egli è simbolicamente sepolto, e le sue armi vanno distrutte come quelle dei nemici si distruggono in onore di Lua Mater. L'asta sulla quale ha poggiato i piedi NON deve cadere in mano nemica: se ciò dovesse accadere si deve fare una Suovetaurilia (rito di purificazione molto particolare) piacolare a Marte."


Tornando al racconto Decio morì nello scontro, disorientando i nemici e assicurando la vittoria ai Romani.


Fatalmente anche il figlio, Decio Mure ebbe la stessa sorte nel 295 a.e.v. votandosi nel corso della Battaglia di Sentino e il figlio a sua volta, omonimo, nel 279 a.e.v. nella battaglia di Ascoli di Puglia.


Decio Mure, anzi I Decio Mure rappresentano l'abnegazione e il sacrificio per la Patria nonché lo sprezzo per la morte.


La consacrazione del console Decio Mure, Rubens, 1618




Gianluca Vannucci

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