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Questo sito tratta in maggior parte del Culto Tradizionale Romano.

Spesso si sente definire la Tradizione: “vecchio culto”, oppure “antica religione”,

il nome di questo spazio tende a sottolineare che il Culto degli Dèi, essendo Essi per definizione “Eterni, Impassibili e Immutabili” non può che essere tale.

Il Fuoco è quello interno in ognuno di noi, il Fuoco di Vesta, ma non solo quello fisico, il ponte cioè che permise a Roma di divenire un vero e proprio Santuario a cielo aperto, spento dal tiranno Teodosio nel 391, è soprattutto la nostra anima.

“Il Fuoco Eterno” si prefigge non solo di raccontare e divulgare la Tradizione dei Padri, ma anche la storia dei nostri Popoli e della nostra Nazione.


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sabato 17 giugno 2023

Marco Furio Camillo: il secondo Fondatore

Francesco Salviati, Trionfo di Furio Camillo

Nato nel 446 a.e.v. nella patrizia gens Furia, Marco Furio Camillo è personaggio centrale della storia romana repubblicana.

Dopo aver assolto la carica di tribuno consolare per due volte e avendo riportato apprezzabili risultati nell'annosa guerra contro l'etrusca città di Veio, fu nominato dictator nel 396 a.e.v.

Risollevò il morale dei soldati e del popolo romano, punendo i disertori delle precedenti battaglie, impose un giorno di leva e corse fin sotto le mura di Veio per sostenere e rincuorare i soldati assedianti. Anche gli alleati Latini ed Ernici si convinsero di scendere in guerra e così Furio Camillo fece voto di restaurare il tempio di Mater Matuta in caso di conquista di Veio.

Poi ordinò la costruzione di una galleria che doveva arrivare fino alla rocca nemica. Gli scavatori furono divisi in sei squadre che si avvicendavano ogni sei ore.

 
Fu in questo momento che pronunciò il famoso discorso nell'ambito del rito dell'Evocatio, citato da Tito Livio:

«Una folla immensa si riversò nell'accampamento. Allora il dittatore, dopo aver preso gli auspici, si fece avanti e, dopo aver detto ai soldati di armarsi, disse: "O pitico Apollo, sotto la tua guida e per tua divina inspirazione mi avvio a distruggere la città di Veio e a te offro in voto la decima parte del bottino che ne si ricaverà. Nello stesso tempo supplico Te, Giunone Regina che ora risiedi a Veio, di seguire le nostre armi vittoriose nella nostra città di Roma, Tua dimora futura, la quale ti riceverà in un tempio degno della Tua grandezza"»

(Tito Livio, Ab Urbe condita libri, V, 2, 21)


Dopo questo discorso i soldati, come presi da furore e dopo un periodo di stallo, assaltarono le mura e nel mentre gli altri passavano sotto la galleria.


«E si chiedevano (i veienti) con meraviglia come mai, mentre per tanti giorni non c'era stato un solo Romano che si fosse mosso dai posti di guardia, adesso, come spinti da un furore improvviso, si riversassero in massa alla cieca contro le mura»

(Tito Livio, "Ab Urbe Condita", V, 2, 21)


I Romani irrupperò nel tempio di Giunone e dopo aspri scontri e aver aperto le porte della città Furio Camillo ordinò di risparmiare i Veienti.


La statua di Giunone Regina fu portata in Roma e le fu dedicato un tempio sull'Aventino. Inoltre Camillo dedicò un nuovo tempio a Mater Matuta. Veio era caduta.


Assedio dei Falisci


Nominato per la terza volta tribuno consolare nel 394 a.e.v. dovette affrontare lo scontro coi Falisci che si chiusero nella città, iniziava un estenuante assedio. 

Fu lì che un maestro di scuola falisco propose i suoi allievi come ostaggi a Furio, che indignato lo respinse indietro scortato e vergato con le verghe dei suoi allievi, episodio che molti secoli dopo costituì probabilmente spunto per l'agiografia di San Cassiano. Colpiti da questo gesto i Falisci si arresero.


Nicolas Poussin, Camillo lascia il maestro di scuola ai suoi allievi, 1637


Scontro coi Senoni


Dopo la disfatta del fiume Allia inflitta ai Romani dai Senoni, i quiriti richiamarono come dittatore il nostro Furio.

I Romani si erano accordati con Brenno, rix dei Senoni per il pagamento di un riscatto pari a 1000 libbre d'oro. Fu in questo contesto che si verificò l'episodio della bilancia truccata e della frase forse pronunciata da Brenno "Vae victis" (per un altro punto di vista rimando al mio articolo sullo sviluppo di Rimini e il regno di Brenno ) cui Furio Camillo opponendosi rispose "Non auro, sed ferro, recuperanda est Patria!" e riuscì a travolgere i Senoni in due sospirate battaglie.

Fu anche e soprattutto per questo che, venendo Roma da un pesante sacco e avendo Furio Camillo salvato l'Urbe nonché ricostruita fu acclamato e ricordato come Secondo Fondatore, parificandolo addirittura a Romolo.



Fu nominato dittatore altre 3 volte e tribuno consolare e numerosi altri episodi non meno valorosi segnarono la sua vita e la storia di Roma.

Da ricordare quando nel 367 a.e.v. dovette affrontare nuovamente i Galli nei pressi di Albano, come ci tramanda Tito Livio:

«E non ostante l'enorme spavento ingenerato dai Galli e dal ricordo della vecchia disfatta, i Romani conquistarono una vittoria che non fu né difficile né mai in bilico. Molte migliaia di barbari vennero uccise nel corso della battaglia e molte altre dopo la presa dell'accampamento. I sopravvissuti, dispersi, ripararono soprattutto in Puglia, riuscendo a evitare i Romani sia per la grande distanza della fuga, sia per il fatto di essersi sparpagliati in preda al panico»

(Tito Livio, Ab Urbe condita, VI, 4, 42.)


Infine sebbene patrizio capì l'esigenza di pacificare le lotte intestite tra patrizi e plebei.


Marco Furio Camillo morì di peste nel 365 a.e.v. a 81 anni:


«Ma ciò che rese degna di menzione quella pestilenza fu la morte di Marco Furio, dolorosissima per tutti non ostante lo avesse raggiunto in età molto avanzata. Egli fu infatti uomo assolutamente impareggiabile in qualunque circostanza della vita. Eccezionale tanto in pace quanto in guerra prima di essere bandito da Roma, si distinse ancor più nei giorni dell'esilio: lo testimoniano sia il rimpianto di un'intera città che, una volta caduta in mani nemiche, ne implorò l'intervento mentre era assente, sia il trionfo con il quale, riammesso in patria, ristabilì nel contempo le proprie sorti e il destino della patria stessa. Mantenutosi poi per venticinque anni - quanti ancora ne visse da quel giorno - all'altezza di una simile fama, fu ritenuto degno di essere nominato secondo fondatore di Roma dopo Romolo»

(Tito Livio, Ab Urbe condita, VII, 1.)



Gianluca Vannucci




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