sabato 8 ottobre 2022

La fine di Malatesta

Tomba di Sigismondo, cappella delle Virtù


Dopo i grandi successi e riconoscimenti sembrava essere sempre più luminosa la stella di Sigismondo. I lavori al Tempio procedevano spediti, le battaglie un successo, si era sposato ufficialmente (e questa volta per amore) con Isotta degli Atti ma ombre sempre più fosche apparivano all'orizzonte.

Tutto infatti cambiò quando sul soglio papale salì Pio II alias Enea Piccolomini.

Esso vide l'opera e notò alcuni dettagli, l'uso dei termini gentili come “Diva Isotta” nonché di alcuni simboli ed essendo dotato di animo scaltro e avendo studiato la classicità (tanto che molti tuttora lo stimano in quanto "papa umanista") capì subito il progetto del Signore di Rimini e della Sua corte, formata da discepoli di Giorgio Gemisto Pletone.

Alfonso d'Aragona dominatore di Napoli non era dimentico inoltre della sconfitta inflittagli dal Malatesta a Firenze 10 anni prima e alleatosi con l'acerrimo nemico di Sigismondo, Federico da Montefeltro, messo in capo alle armate della chiesa da Pio II inflissero pesanti sconfitte a Malatesta.

Il 1460 inoltre il papa, forte della sua egemonia grazie agli alleati di Aragona e Montefeltro e avendo isolato Malatesta lo scomunicò e l'anno successivo celebrò un processo farsa in contumacia bruciando pubblicamente la sua effige.

Si effettuarono, da parte di Pio II, anatemi contro Sigismondo Pandolfo Malatesta ed iniziò una vera e propria macchina del fango messa in moto dagli organi e intellettuali di corte papali, Malatesta venne accusato di essere eretico, bestemmiatore e colpevole ogni crimine e bassezza irripetibile in questa sede, credenza che è perdurata fino a non molti anni fa storicamente, anche a causa dei "Commentarii" scritti da Pio II del 1462 nei quali, riferendosi al Tempio Malatestiano, scriveva “fece costruire a Rimini un nobile tempio dedicato a San Francesco, tuttavia lo riempì di opere pagane, così che sembrava un tempio non di cristiani ma di infedeli adoratori di demoni” ma anche “venia da chiedersi a qual schiatta appartenesse il Malatesta, così circuito da uomini greci, forse la medesima dell'orrendo Apostata antico” (chiaro riferimento all'Imperatore Giuliano). 

Ritirò presto quindi ogni onoreficenza concessa a Sigismondo in passato dai papi e lo maledì alle fiamme dell'inferno.

La storiografia ufficiale riporta che era a causa dei debiti riportati, possiamo facilmente intuire che la paura di questo tiranno fosse dovuta al progetto di Sigismondo.

Gli ingenti debiti di guerra causati dalle sconfitte e dall'isolamento inflittogli dalla chiesa nella Penisola portò a bloccare il proseguimento del progetto di costruzione del Tempio già nel 1461.

Con la fine del pontificato di Pio II e un aiuto dei Veneziani, Sigismondo Pandolfo Malatesta si riprese un poco, ma aveva ormai mantenuto la sola città di Rimini.

Nel 1464 si imbarcò nella guerra di Morea contro gli ottomani, impresa ardua rifiutata da ogni altro regnante italiano e riuscì a recuperare le spoglie di Giorgio Gemisto Pletone, Suo Maestro, che fece deporre in un sepolcro sulla fiancata destra del Tempio fra "uomini colti e liberi” insieme a quelli di Roberto Valturio e Basinio da Parma, suoi fedeli cortigiani e anch'essi discepoli di Pletone.


sepolcro di Gemisto Pletone, Tempio Malatestiano

Tornato in Italia, stanco e provato, nel 1466 depose in favore di Isotta e Suo figlio Sallustio. Fu a quel punto che il nuovo papa, Paolo II, meschinamente mentre muoveva contro Rimini di nascosto gli propose di cedergli l'ormai unico possedimento rimastogli al che Sigismondo rispose fieramente “quella povera città che m'è rimasta ove son la maggioranza delle ossa delli miei antiqui m'è meglio morir con onore che ricever tale vilipendio ...” “io aspettaria inanzi mille morti che lassarmi congiongere a tal caso e victoperio di tutti li miei passati”.

Poco dopo, sicuramente provato dalla cattiveria usatagli contro, nonché dalle faticose imprese in cui si cimentò, morì nel 1468.

Qualche decennio dopo, nel 1500 le truppe dello Stato della Chiesa riconquistarono Rimini, esiliando e disperdendo gli eredi della Signoria Malatestiana e facendo presto rimpiangere al popolo riminese i tempi d'oro di Malatesta.

Termina così l'epopea di un principe che voleva tornare a congiungersi con gli antichi, un mio e nostro celebre antenato troppo spesso dimenticato a causa della propaganda e delle leggende nere inquisitorie. Lasciando così incompiuto un progetto di vita, un Tempio senza cupola, degna purtroppo rappresentazione del Rinascimento italiano, strozzato dalla reazione ecclesiastica.


Gianluca Vannucci





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