Chi siamo:

Questo sito tratta in maggior parte del Culto Tradizionale Romano.

Spesso si sente definire la Tradizione: “vecchio culto”, oppure “antica religione”,

il nome di questo spazio tende a sottolineare che il Culto degli Dèi, essendo Essi per definizione “Eterni, Impassibili e Immutabili” non può che essere tale.

Il Fuoco è quello interno in ognuno di noi, il Fuoco di Vesta, ma non solo quello fisico, il ponte cioè che permise a Roma di divenire un vero e proprio Santuario a cielo aperto, spento dal tiranno Teodosio nel 391, è soprattutto la nostra anima.

“Il Fuoco Eterno” si prefigge non solo di raccontare e divulgare la Tradizione dei Padri, ma anche la storia dei nostri Popoli e della nostra Nazione.


Visualizzazione post con etichetta storia di Rimini. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta storia di Rimini. Mostra tutti i post

domenica 25 dicembre 2022

Il mistero di Santa Colomba

Dopo aver indagato sull'origine di uno dei 4 patroni antichi di Rimini in questo articolo, qui  parleremo della più antica e misteriosa patrona della città, ovvero Santa Colomba di Sens. Essa infatti risulta come la prima e più antica protettrice cristiana di Ariminum, sebbene le fonti siano piuttosto tarde, come al solito.

La leggenda agiografica

Iniziamo quindi analizzando l'agiografia di questa santa:

Eporita, nobile sedicenne originaria di Cordova in Hispania Romana, abbandonò la famiglia, si recò in Gallia precisamente ad Agendicum (Sens) dove convertitasi venne battezzata e assunse come nuovo nome Colomba per via della sua innocenza.

Il 25 dicembre venne arrestata e condotta davanti all'Imperatore Aureliano in persona che, a quanto pare, non aveva niente di meglio da fare secondo la storia di convincere Colomba a mettersi con Lui e ad abiurare il cristianesimo.

Irritato poi dal rifiuto della giovane la rinchiuse in cella dove un malintenzionato cercò di abusare di lei ma un'orsa corse subito in suo aiuto mettendo in fuga l'uomo.

Poco dopo Aureliano, sempre secondo l'agiografia, dette l'ordine di metterla al rogo ma un acquazzone salvò la futura santa. L'Imperatore allora avrebbe dato ordine di decapitarla, cosa che avvenne nei pressi di una fontana detta di Azon.

Il tutto mentre il Divo Aureliano era impegnato, in quel periodo storico (e questo certamente) nelle guerre in Gallia.

Colomba di Sens davanti ad Aureliano

Ma non è finita qui, infatti come divenne patrona di Rimini essendo una giovane spagnola martirizzata in Gallia? Ebbene secondo la tradizione locale della città alcuni mercanti che navigavano nell'Adriatico avevano trafugato una reliquia del corpo di Santa Colomba quando nel 313 furono costretti ad approdare a Rimini causa una tempesta, dove il proto-vescovo (leggendario anch'esso) Stemnio pose la reliquia nella cattedrale di Santa Colomba, appena costruita sul Tempio di Ercole che il proto-vescovo stesso secondo la storia avrebbe demolito, eleggendo così Santa Colomba prima patrona della città, decretandone la ricorrenza il 29 dicembre.


La storicità di questi racconti è, per usare un eufemismo, improbabile dato che l'Imperatore Aureliano, il Restitutor Orbis, impegnato nelle guerre galliche avrebbe avuto ben altro a cui pensare che convincere una giovane  all'abiura e infine a sposarlo.

Per quanto riguarda Stemnio, della cui esistenza non abbiamo prove tanto che anche secondo la diocesi il primo vescovo fu Gaudenzo (fatto patrono) invece è praticamente impossibile che già nel 313 avesse potuto abbattere il Tempio di Ercole nella piazza del mercato (attuale piazza Malatesta).

La Cattedrale riminese

La cattedrale di Santa Colomba però è esistita, fino al 1815 quando durante il governo napoleonico della città fu acquistata da un privato che decise di demolirla.

Essa era il Duomo cittadino quindi sede vescovile e fu restaurata diverse volte, una sotto Malatesta e un'altra volta in epoca barocca. Abbiamo però certezza della sua esistenza solo a partire dal X secolo e non prima. Inoltre almeno a Rimini nel Medioevo Santa Colomba era identificata con lo Spirito Santo stesso (rappresentato come una colomba) fino al 1300 e solo successivamente la figura di Santa Colomba ne fu separata, creando probabilmente varie favole e leggende tant'è che nei documenti altomedievali appaiono entrambe le dediche per quanto riguarda la cattedrale.

quel che resta della cattedrale
Nella torre del campanile, unica parte della grande cattedrale sopravvissuta, appare in una lunetta una simbologia ermetica ma eloquente.

Il Fiore della Vita simbolo cosmico universale e delLa Dea, Anima Mundi, a fianco troviamo invece la Ruota solare, solitamente appannaggio, soprattutto in ambito gallo-romano di Iuppiter Taranis. Al centro l'Axis Mundi sottoforma di giglio.

Sopra a tutto il Sole e la Luna e due stelle, come nei rilievi antichi, a simboleggiare i Dioscuri custodi.

lunetta del campanile della cattedrale

I doppioni di Santa Colomba

A supportare l'ipotesi che Santa Colomba non sia mai esistita ci sono inoltre altri dettagli:

La seconda patrona riminese, Innocenza festeggiata il 17 settembre, è praticamente un suo doppione, la storia agiografica è identica tranne per l'ambientazione temporale, essa infatti è situata all'epoca di Diocleziano invece che di Aureliano, ma per il resto non differisce dal racconto di Colomba di Sens di quasi niente. Una giovane nobile perseguitata dall'imperatore che viene in seguito martirizzata e anche qui il vescovo, stavolta Gaudenzo costruisce la sua chiesa (anch'essa oggi scomparsa) a pochi passi dal Tempio di Diana Trivia oggi Tempio Malatestiano.

Vi è poi un'altra Santa Colomba, di Cordova (stessa cittadina d'origine di Colomba di Sens) stavolta però in epoca altomedievale, in piena occupazione musulmana della Spagna.

Anch'essa abbandonò la città dedicandosi alla vita cristiana e in pieno spregio alle leggi moresche si dichiarò cristiana inanzi ad un tribunale che la decapitò il 17 settembre 853, stesso giorno di Santa Innocenza.

Analisi e conclusione

Mettendo insieme i dettagli delle varie agiografie nonché le simbologie della Santa possiamo analizzare, riguardo al suo culto nella città di Rimini, che:

Santa Colomba è di Sens, Rimini era città dei Senoni che provenivano proprio originariamente dalla zona di Sens;

Si chiamava originariamente Eporita, un epiteto di Epona, Dea gallica (quindi dei Senoni);

Viene raffigurata insieme ad un'Orsa (animale sacro ad Artemide ma anche Artio La Dea gallica) la cui relazione è spiegata nell'agiografia, e al contrario di altri martiri con una piuma di pavone invece che una palma ed era invocata principalmente per la pioggia e contro gli incendi (attributo a cui Giunone è legata) e pare sia legata alle tempeste, a causa di una di queste arriva a Rimini (le funzioni di Iside, protettrice della navigazione e all'interno del Tempio Malatestiano probabilmente vi era un Suo culto sotto l'effige della cosiddetta Madonna dell'acqua).

Inoltre il racconto di come le sue reliquie arrivarono a Rimini ricorda una storia di Ostia antica: una statua di Ercole portata dal mare e rinvenuta tra le reti di pescatori, fu collocata in un tempio avente funzione oracolare e protettrice del commercio.

Le reliquie di Colomba sarebbero arrivate tramite dei marinai grazie ad una tempesta e poste dallo pseudo-vescovo Stemnio nella cattedrale a lei dedicata costruita al posto del Tempio di Ercole, che sorgeva nella piazza del mercato.


Tutto ciò fa pensare ad una riemersione, a livello di inconscio collettivo, di una Divinità gallica molto presente in zona. Una Forma, un archetipo che torna ciclicamente, magari attraverso l'ausilio di favole e nuovi "miti" adatti ad epoche oscure, perchè corrispondente ad un Genio che abita quel determinato luogo.

Come delle fiabe si creano (forse anche senza interventi ecclesiali) storie che corrispondono in qualche modo ad archetipi precedenti.

Questa Eporita, il cui nome ricorda Epona La Dea che cavalca tra i mondi che fu identificata con lo Spirito Santo e che ha l'Orsa, la Madre Celeste simboleggiata nella costellazione, come simbolo altri non è che appunto l'Anima Mundi, Hecate-Diana.

Come già detto in questo articolo poi, tra Gli Dèi protettori di Rimini vi è Diana Arimina, un culto ch fu proprio traslato qui da Ariccia in epoca romana.

Aureliano, che tra l'altro rappresenta il Sol Invictus, culto da Lui stesso istituito il 25 dicembre (giorno della presunta convocazione di Colomba davanti all'Imperatore nella storia) come in una fiaba, chi altro sarebbe se non il Sole, da sempre innamorato della Luna che rincorre incessantemente nel moto apparente?

Insieme ad un altro patrono quindi, San Giuliano di cui abbiamo parlato in questo articolo, i nostri Avi medievali sono riusciti ad onorare, nonostante la pesante oppressione ed ignoranza, due Numi Tutelari della città che si ritrovano: Apollo e Diana.

La simbologia della cattedrale dice tutto a chi sa vedere poi. Cattedrale che fu abbattuta nel 1815. Immediatamente dopo venne decretato duomo, che è quello attuale, il Tempio Malatestiano che curiosamente era un Tempio a Diana Trivia in epoca romana e una chiesa di Santa Maria in Trivio in alto medioevo, come abbiamo già parlato nell'articolo sui templi di Rimini e in quello proprio sul Tempio Malatestiano.

Provvidenza volle quindi che il Tempio Malatestiano fu in pieno ottocento dedicato a Santa Colomba, tutt'ora è così chiamato dalla diocesi. Nello stesso tempio dove Sigismondo Pandolfo Malatesta pose la cosiddetta Madonna dell'acqua invocata per la pioggia e in cui in epoca moderna  curiosamente fu posizionata proprio al centro della Cappella dello Zodiaco, fra Gli Dèi antichi, una bellissima effige di Santa Colomba, come un'antica Dea tornata Anima Mundi. Proprio nel Tempio dove, in epoca rinascimentale fu venerata Iside sotto le sembianze della cosiddetta Madonna dell'acqua.

Il cerchio si chiude. 

Santa Colomba, Cappella dello Zodiaco, Tempio Malatestiano

Gianluca Vannucci

 

venerdì 9 dicembre 2022

San Giuliano e Il Genio Ariminensis


Rimini per i cristiani ha 4 antichi patroni (in epoca moderna ne aggiunsero altri): Santa Colomba, della quale parleremo molto probabilmente più avanti; Innocenza, sostanzialmente un doppione di Colomba; Gaudenzio, il primo vescovo e patrono della diocesi e l’unico attualmente festeggiato e San Giuliano, oggetto di questo articolo e accennato in precedenza in quello sugli antichi templi.


Perché dovremmo interessarci di un santo cristiano in questo spazio? Inanzitutto questa è la rubrica riguardante la storia di Rimini, in secundis è bene analizzare la sua storia in quanto non è un semplice patrono appiccicato dalla diocesi come Gaudenzio, analizziamo quindi la sua agiografia.


La leggenda agiografica


San Giuliano di Anazarbo (in Cilicia), questo è il nome completo, di cui non si è nemmeno sicuri, taluni infatti dicono che questo martire fosse istriano (e avrebbe più senso data la storia) vi sono infatti 22 “San Giuliano” venerati dalla chiesa dalla storia pressoché identica.

Possiamo intuire quindi che, come la stragrande maggioranza dei santi antichi, tale San Giuliano non sia mai esistito in realtà.



Comunque sia l’agiografia dice che intorno al governo dell’Imperatore Decio (o Diocleziano secondo gli ortodossi, come vedete l’indecisione è regina) Giuliano, figlio di un senatore pagano e di una madre che lo educò al cristianesimo, tale Asclepiodora (nome emblematico, sul quale torneremo) venne denunciato e rifiutando di abiurare la sua fede venne condotto appunto ad Anazarbo dove fu torturato e gettato in mare dentro un sacco riempito di serpenti.


Finisce qui l’improbabile agiografia e inizia la storia riminese.


Patrono di Rimini


Nel 962 nel giorno di mezz’estate approdò sulle spiagge di Viserba, a nord di Rimini miracolosamente il suo sarcofago, che aveva viaggiato in mare dalla Cilicia (o dall’Istria) per 6 secoli e passa in un punto dove sgorgava una sorgente, la Sacramora, tutt’ora utilizzata.


Al momento però di trasportare l’arca del santo alla Cattedrale di Santa Colomba, sede vescovile riminese, i buoi che la trascinavano si rifiutarono di attraversare il Ponte di Tiberio, che collegava il borgo sorto nel Medioevo alla città antica.

Le reliquie furono quindi poste nell’abbazia di Pietro e Paolo (che, come specificato nell’articolo sui Templi riminesi fu costruita dai benedettini sopra un tempio) che da quel momento venne dedicata a San Giuliano.


l'episodio raccontato nella Pala di Bitino da Faenza, chiesa di San Giuliano, Rimini


Il 962 fu un anno molto importante, venne infatti fondato da Ottone il Sacro Romano Impero e crebbe sempre maggiore l’autonomia comunale che Rimini raggiunse nel XII secolo a guida ghibellina grazie all’Imperatore Barbarossa.


Nel frattempo presso il popolo riminese crebbe sempre più il culto e la figura di San Giuliano quanto protettore cittadino a dispetto di Gaudenzio, il patrono della diocesi.

I riminesi non sapevano niente dell’agiografia e dell’improbabile cristiano denunciato da un funzionario di Decio e perseguitato perché cristiano, per i cittadini era semplicemente San Giuliano, colui che donò la fonte Sacramora a beneficio e sostentamento di tutti i riminesi e che aveva salvato il Ponte dell’Imperatore Tiberio (ancora ricordato e amato come sovrano giusto) dal diavolo in una leggenda.


Già alla proclamazione del libero comune i patroni vescovili vennero declassati rispetto a San Giuliano, vero e proprio simbolo imperiale cittadino.

Fu così che, nel 1228 venne definitivamente proclamato Santo Patrono della città, ma non uno dei tanti, l’unico “protettore e avvocato celeste” ignorando Gaudenzio, Colomba e Innocenza, già patroni da secoli.

Il libero comune ghibellino, evidentemente in rotta con la diocesi, non gradiva un patrono come Gaudenzio il primo vescovo e quindi simbolo dell’autorità papale su quella comunale e imperiale.

Giuliano, giovane laico e cavaliere, era raffigurato nelle monete della zecca riminese (e questo fino a quando non cadde la signoria dei Malatesta e la città torno sotto dominazione papale) e sugli stendardi di guerra cittadini.

La stessa storia di San Giuliano negava al vescovo qualsiasi primato (l’arca si rifiutò di essere trainata fino alla sede della diocesi).


Bolognino di Sigismondo con effige di San Giuliano lucifero con la stella


Il 22 giugno inoltre, festa di San Giuliano, fu istituito per legge il Palio in Suo onore: cavalli di pregio, il cui valore non fosse inferiore a 50 lire, correvano da Viserba a Piazza Giulio Cesare in pieno centro cittadino.


Il primo premio consisteva in uno stendardo scarlatto, al secondo un’ambita porchetta ma è all’ultimo arrivato che curiosamente andava il premio più interessante: un gallo, con al collo un sacchetto contenente una libbra di pepe, che considerandone il valore dell’epoca era un premio di assoluto rispetto che condizionava paradossalmente l’andamento della gara.


Fonte Sacramora, Viserba di Rimini. Evidente raffigurazione apollinea

Analisi e conclusione


Ma al di là del mero interesse storico, analizziamo dal nostro punto di vista sia la leggenda che la storia del patrono.

Giuliano (quindi appartenente almeno nel nome alla Gens Iulia) figlio di Asclepiodora viene costretto a subire torture, potremmo dire delle prove e poi gettato negli abissi con dei serpenti.

Navigando per secoli con la sua “arca” approda presso una fonte sacra a Rimini proprio il 22 giugno, giorno del Solstizio (o immediatamente successivo) e sceglie come Sua dimora il Borgo, che in epoca romana era sede oltre che della necropoli del Sacello al Genio Ariminensis, il Genio protettore di Ariminum.

Rapidamente attraverso leggende cresce in popolarità, viene invocato dai cittadini contro le malattie e gli attacchi del “diavolo” inoltre si utilizza l’acqua della fonte Sacramora (sacra dimora) dalle proprietà curative. Viene eletto patrono del comune da parte imperiale e per tutta la durata dell’autonomia cittadina che coincide con la Signoria Malatestiana.

Nel giorno della Sua festa, il 22 giugno, l’ultimo arrivato della corsa di cavalli vince un gallo.


Ora, analizzando appare chiara la natura solare di San Giuliano.

I serpenti, la madre Asclepiodora, attraversa il mare su una barca solare e giunge proprio nel giorno del Solstizio, superando diverse prove e donando sorgenti curative. Sceglie come dimora l’antico sacello del Genio cittadino e l’ultimo arrivato al Suo palio (una corsa di Cavalli, Apollo è anche Atepomaros, Signore dei cavalli) vince un gallo, sacro anche ad Asclepio. L’analogia con l’ultimo arrivato alla corsa ricorda inoltre a me personalmente il sacrificio del gallo ad Asclepio in punto di morte da parte del Divino Socrate.

Nelle monete comunali è rappresentato lucifero, portatore di luce attraverso una stella.

Apollo è uno degli Dèi Penati di Rimini, venerato da prima della ri-fondazione romana.


San Giuliano, Bitino da Faenza, chiesa di San Giuliano, Rimini


San Giuliano è, a mio parere, una riemersione attraverso inconscio collettivo del Genio Ariminensis. Un Genio della famiglia di Apollo e Asclepio e a Loro strettamente connesso.

Inoltre il suo stesso nome, Giuliano della gens Iulia, il collegamento di protettore della città del Divo Iulio, il fatto che protettore degli Imperatori era Apollo e le leggende che lo legano al Ponte di Tiberio in quanto tutelare dello stesso fanno pensare anche alla sovrapposizione del culto imperiale, che avrebbe senso ulteriormente in quanto patrono di Rimini soprattutto dal punto di vista del SRI nel basso medioevo.


Il culto di San Giuliano e la Sua popolarità crebbero enormemente durante l’epoca comunale ghibellina, e durò per tutto il periodo della Signoria dei Malatesta.

Con la riconquista papale andò sempre più scemando, con l’aggiunta in epoca moderna di altri patroni, sempre più a favore di Gaudenzio, simbolo vescovile.

Oggigiorno è ricordato nel nome del famoso Borgo, che prese il Suo nome e l’abbazia in esso e per poco altro.



Gianluca Vannucci




sabato 8 ottobre 2022

La fine di Malatesta

Tomba di Sigismondo, cappella delle Virtù


Dopo i grandi successi e riconoscimenti sembrava essere sempre più luminosa la stella di Sigismondo. I lavori al Tempio procedevano spediti, le battaglie un successo, si era sposato ufficialmente (e questa volta per amore) con Isotta degli Atti ma ombre sempre più fosche apparivano all'orizzonte.

Tutto infatti cambiò quando sul soglio papale salì Pio II alias Enea Piccolomini.

Esso vide l'opera e notò alcuni dettagli, l'uso dei termini gentili come “Diva Isotta” nonché di alcuni simboli ed essendo dotato di animo scaltro e avendo studiato la classicità (tanto che molti tuttora lo stimano in quanto "papa umanista") capì subito il progetto del Signore di Rimini e della Sua corte, formata da discepoli di Giorgio Gemisto Pletone.

Alfonso d'Aragona dominatore di Napoli non era dimentico inoltre della sconfitta inflittagli dal Malatesta a Firenze 10 anni prima e alleatosi con l'acerrimo nemico di Sigismondo, Federico da Montefeltro, messo in capo alle armate della chiesa da Pio II inflissero pesanti sconfitte a Malatesta.

Il 1460 inoltre il papa, forte della sua egemonia grazie agli alleati di Aragona e Montefeltro e avendo isolato Malatesta lo scomunicò e l'anno successivo celebrò un processo farsa in contumacia bruciando pubblicamente la sua effige.

Si effettuarono, da parte di Pio II, anatemi contro Sigismondo Pandolfo Malatesta ed iniziò una vera e propria macchina del fango messa in moto dagli organi e intellettuali di corte papali, Malatesta venne accusato di essere eretico, bestemmiatore e colpevole ogni crimine e bassezza irripetibile in questa sede, credenza che è perdurata fino a non molti anni fa storicamente, anche a causa dei "Commentarii" scritti da Pio II del 1462 nei quali, riferendosi al Tempio Malatestiano, scriveva “fece costruire a Rimini un nobile tempio dedicato a San Francesco, tuttavia lo riempì di opere pagane, così che sembrava un tempio non di cristiani ma di infedeli adoratori di demoni” ma anche “venia da chiedersi a qual schiatta appartenesse il Malatesta, così circuito da uomini greci, forse la medesima dell'orrendo Apostata antico” (chiaro riferimento all'Imperatore Giuliano). 

Ritirò presto quindi ogni onoreficenza concessa a Sigismondo in passato dai papi e lo maledì alle fiamme dell'inferno.

La storiografia ufficiale riporta che era a causa dei debiti riportati, possiamo facilmente intuire che la paura di questo tiranno fosse dovuta al progetto di Sigismondo.

Gli ingenti debiti di guerra causati dalle sconfitte e dall'isolamento inflittogli dalla chiesa nella Penisola portò a bloccare il proseguimento del progetto di costruzione del Tempio già nel 1461.

Con la fine del pontificato di Pio II e un aiuto dei Veneziani, Sigismondo Pandolfo Malatesta si riprese un poco, ma aveva ormai mantenuto la sola città di Rimini.

Nel 1464 si imbarcò nella guerra di Morea contro gli ottomani, impresa ardua rifiutata da ogni altro regnante italiano e riuscì a recuperare le spoglie di Giorgio Gemisto Pletone, Suo Maestro, che fece deporre in un sepolcro sulla fiancata destra del Tempio fra "uomini colti e liberi” insieme a quelli di Roberto Valturio e Basinio da Parma, suoi fedeli cortigiani e anch'essi discepoli di Pletone.


sepolcro di Gemisto Pletone, Tempio Malatestiano

Tornato in Italia, stanco e provato, nel 1466 depose in favore di Isotta e Suo figlio Sallustio. Fu a quel punto che il nuovo papa, Paolo II, meschinamente mentre muoveva contro Rimini di nascosto gli propose di cedergli l'ormai unico possedimento rimastogli al che Sigismondo rispose fieramente “quella povera città che m'è rimasta ove son la maggioranza delle ossa delli miei antiqui m'è meglio morir con onore che ricever tale vilipendio ...” “io aspettaria inanzi mille morti che lassarmi congiongere a tal caso e victoperio di tutti li miei passati”.

Poco dopo, sicuramente provato dalla cattiveria usatagli contro, nonché dalle faticose imprese in cui si cimentò, morì nel 1468.

Qualche decennio dopo, nel 1500 le truppe dello Stato della Chiesa riconquistarono Rimini, esiliando e disperdendo gli eredi della Signoria Malatestiana e facendo presto rimpiangere al popolo riminese i tempi d'oro di Malatesta.

Termina così l'epopea di un principe che voleva tornare a congiungersi con gli antichi, un mio e nostro celebre antenato troppo spesso dimenticato a causa della propaganda e delle leggende nere inquisitorie. Lasciando così incompiuto un progetto di vita, un Tempio senza cupola, degna purtroppo rappresentazione del Rinascimento italiano, strozzato dalla reazione ecclesiastica.


Gianluca Vannucci





domenica 2 ottobre 2022

Il Tempio Gentile Malatestiano



Forte di diversi successi: militari, familiari nonché economici, allo scoccare dei 30 anni Sigismondo Pandolfo, coadiuvato dagli intellettuali che lo circondavano a corte,

probabilmente anche dal maestro Pletone e soprattutto dalla compagna, vero e unico amore della sua vita, pensò di dar vita al più grande progetto di restaurazione del culto Gentile in Italia.

Al fine di sciogliere un voto riguardante “i moltissimi e gravissimi pericoli scampati e le vittorie riportate nella guerra italica” riferendosi probabilmente alle campagne di Toscana conclusesi col trionfo fiorentino, nel 1447 commissionò dei lavori nell'allora chiesa di San Francesco, da più di un secolo sede dei sepolcri della famiglia Malatesta.

Essa era un edificio duecentesco ormai diroccato e decadente, nel IX secolo era chiesa di Santa Maria in Trivio (probabilmente un vecchio tempio romano dedicato a Diana Trivia) fu poi ristrutturato nel 1257 dai francescani in modo spartano e semplice.

Il primo intento fu quello di costruire una cappella a San Sigismondo, suo santo protettore

come dimora delle spoglie di Pandolfo Malatesta e nel 1447 ottenne autorizzazione papale per costruire all'interno della chiesa un'ulteriore cappella sepolcrale per Isotta.

La posa solenne della prima pietra avvenne il 31 ottobre 1447.

I migliori artisti e architetti dell'epoca furono chiamati dal Signore di Rimini, che ora come priorità dopo le tante battaglie pareva solo aver la realizzazione di questo progetto: il futuro Tempio Malatestiano.

La realizzazione dell'esterno fu affidata a Leon Battista Alberti e doveva essere nelle forme simile alle costruzioni romane, prendendo spunto quindi dall'Arco costruito dal Divo Augusto, che Sigismondo ammirava e in cui onore fece battere moneta commemorativa proprio in quegli anni.

L'involucro in marmo che ricopre la vecchia chiesa agisce come un cappotto e l'effetto dell'opera incompiuta che lascia trapelare la cima della chiesetta antica riassume involontariamente la storia del Rinascimento, strozzato dalla reazione oscurantista ecclesiastica quindi rimasto purtroppo incompiuto negli intenti di rinascita culturale e religiosa.


Il progetto non è un mero restauro della vecchia chiesetta di San Francesco, cancellata totalmente dal progetto dell'Alberti e nemmeno, come dissero le calunnie successive, di pura vanagloria personale.

Non sarebbe possibile ciò a dimostrazione del fatto che agli artisti fu da Pandolfo vietato firmarsi.

Bensì l'idea di ricostruire l'antico Pantheon presente in epoca romana e almeno fino al VI secolo ai tempi della dominazione giustinianea nella città, poco distante proprio dal Tempio.

Infatti ad opera compiuta sarebbe risultato dotato di una cupola con foro in modo identico a quello del Pantheon, come mostra una moneta celebrativa dell'opera.

In esso si nota, dall'ingresso fino al cammino, purtroppo incompiuto, tra le 6 cappelle originali malatestiane, un raffinato percorso iniziatico, incomprensibile ai più.

Tutto è disseminato di simboli e figure allegoriche, oltre che esplicite, di Deità.

Dalla ricorrenza degli elefanti, simbolo della stirpe malatestiana, alle lettere SI, che sono certamente le iniziali di Sigismondo ma la I ricorda un bastone e la S un serpente

formando il bastone di Esculapio, inoltre le lettere, ossessivamente ripetute a coppie SI formano Isis, davvero esplicativo.


Descrivendo l'interno del Tempio “dedicato al Dio Immortale” dall'ingresso la prima cappella a destra è quella dedicata a San Sigismondo, inteso come il Genio di Sigismondo Pandolfo Malatesta (e infatti troviamo il suo sepolcro personale nella stessa) detta anche cappella delle Virtù. 

Sono infatti, oltre alla statua di San Sigismondo sorretto da due elefanti al centro, rappresentate magistralmente da Agostino di Duccio le varie Virtù eccetto la Giustizia, infatti secondo Platone esse sono la base, necessarie all'uomo pio (e quindi anche all'iniziato) soprattutto se principe e sommando le 3 Saggezza, Coraggio e Temperanza;  padroneggiandole si può raggiungere alla suprema Virtù: la Giustizia, degna del governante (o dell'uomo) giusto.

Vengono altresì aggiunte le cristiane Speranza, Fede, Carità e Prudenza.

Cappella delle Virtù

Nello spazio tra la prima e seconda cappella vi è la celletta delle reliquie, il penus del Tempio sovrastato dalla raffigurazione della virtù della Fortezza, cui Sigismondo era molto legato.

In origine vi era l'uscita laterale della chiesetta di San Francesco, venne realizzata per custodire come i pignora fatali, gli oggetti più sacri e preziosi della città.

Al suo interno troviamo anche il famoso affresco di Piero della Francesca, “Sigismondo in preghiera davanti a San Sigismondo” l'interpretazione ufficiale riporta il San Sigismondo raffigurato come in realtà l'Imperatore Sigismondo del SRI, che conferì il titolo di cavaliere a Sigismondo Pandolfo Malatesta, ma la particolare raffigurazione del santo ovvero globo

e scettro farebbe pensare alla rappresentazione di Dio Padre e il Signore di Rimini al Suo cospetto accompagnato dal suo Genio: il cane bianco-nero. Oppure, ma questa è una mia interpretazione, Sigismondo Pandolfo iniziato davanti al suo maestro: Gemisto Pletone.

Proseguendo, la seconda cappella è quella degli Angeli, ove riposa Isotta degli Atti, sul cui sepolcro, sorretto da elefantini bianchi è inciso “tempus loquendi tempus tacendi” la dedica "Diva Isotta" e la data del 1450, che è puramente simbolica in quanto essa morì nel 1478.

Al centro della cappella poi vi è una statua di San Michele Arcangelo e nelle colonne vari angeli che suonano trombe e portano stemmi.

Cappella degli Angeli

Il numero 1450 è ripetuto quasi ossessivamente all'interno del Tempio e nelle medaglie

fatte coniare dal Sigismondo. Oltre alla data in cui avrebbe dovuto essere completato il

Tempio esso cela un altro significato.

1450 è una cifra infatti progressiva, ovvero ogni numero che la compone è superiore al

precedente, fino allo 0, che rappresenta il concetto di vuoto ma anche pieno.

Sommando ogni numero che compone la cifra 1450 si arriva a 10, la sacra Decade

pitagorica.


La terza cappella, l'ultima di destra, è quella più spettacolare ed enigmatica ovvero la

cosiddetta cappella dello Zodiaco. Qui infatti sono raffigurati magistralmente grazie al Di

Duccio nelle colonne (e in modo esplicito) diverse Divinità romane.

Troviamo ad esempio nella colonna di sinistra alla base il segno del Cancro, che domina la

città di Rimini, segno di Pandolfo quindi del protettore della città nonché sovrano, a fianco

La Dea Luna e ancora gli effetti della Luna sulla Terra, raffigurante un uomo in balia delle

acque.

Troviamo poi Mercurio, Venere e a destra Giove con l'aquila, Saturno con la falce e Marte

con a fianco nei rilievi i vari segni dello zodiaco governati dagli Stessi.

Solo il Sole col Leone sono nel punto centrale, in alto, dell'arcata.

In modo molto curioso Provvidenza ha voluto poi che in epoca moderna, dopo che l'antica cattedrale di S. Colomba, sede vescovile, fu abbattuta nel 1815 da un privato sotto il governo napoleonico, un rilievo bronzeo proprio di Santa Colomba (identificata con lo Spirito Santo, quindi l'Anima Mundi) fosse posto proprio al centro di questa cappella.

Cappella dello Zodiaco

Iuppiter
     
Saturnus
Mercurius
 
       
Santa Colomba

Veniamo ora alle cappelle di sinistra, con quella delLe Muse, ove sono raffigurati in vari

rilievi Apollo e Le Muse che rappresentano le arti umane.

A mio avviso al centro di questa cappella sarebbe potuto trovarsi la statua di Orfeo, magari una simile a quella romana ritrovata negli scavi della domus del chirurgo greco Eutyche. Oggi purtroppo dedicata dal vescovo locale a san Giuseppe, che però ha una insolita posa. 

Cappella delLe Muse

Apollo

Vi è poi la cosiddetta cappella dei giochi infantili, coi sepolcri delle due prime mogli del

Malatesta: Ginevra d'Este e Polissena Sforza, con rilievi di piccoli Genii che giocano.

Oggi al centro campeggia una pacchiana statua di Gaudenzo, il patrono della diocesi.

Cappella dei giochi infantili

Infine la prima cappella a sinistra, quella degli Antenati. Qui riposano tutti gli antenati

Malatesta, accolti insieme in un unico sarcofago funebre ove campeggiano, oltre ai rilievi

di Sigismondo Pandolfo anche quello del trionfo di Publio Cornelio Scipione, da cui la

famiglia Malatesta riteneva di discendere e di cui Pandolfo si riteneva personalmente la reincarnazione, nonché il trionfo della saggezza con Minerva tra le colonne di un tempio, probabilmente quello antico riminese dedicato alLa Dea.

Il recinto di questa cappella è ornato da una notevole quantità di Genietti e dalla

ripetizione delle lettere SI, che oltre ad essere le iniziali di Sigismondo (ma anche di

Sigismondo e Isotta) ricorda per la forma della S il bastone di Esculapio, e ripetuta a

gruppi di due forma “Isis”.

Curioso dato che al centro di questa cappella vi è la statua della Madonna della pietà, meglio nota al popolo riminese come Madonna dell'acqua poiché invocata e portata in processione nei

momenti di siccità e tale venne ritenuta sempre sia dal clero locale che dalla popolazione

tanto che nel 1584 in occasione di una tremenda siccità diverse persone cominciarono a

raccomandarsi e a portare degli ex-voto presso la statua e poco dopo avvenne una pioggia

leggera e fluente riportando serenità e benessere. Lo stesso miracolo si ripetè nel 1620 e da

allora fu profondamente venerata. L'idolo consiste in una statua in alabastro del 1400

raffigurante una Madonna della Pietà col Cristo e una mandorla mistica raffigurata alla

base del dado, posta sin da subito da Pandolfo in questa cappella.

Per le sue caratteristiche, simboliche e cultuali nonché per il curioso ripetersi del simbolo

SI anche in prossimità (Malatesta non faceva le cose a caso) appare evidente come dietro

questa Madonna dell'Acqua si celi la Dea Iside, il cui culto a Rimini ebbe diffusione già

dal II secolo e che doveva avere culto proprio qui, il Cristo morto è facilmente

interpretabile poi con Osiride.

La cappella poi è detta anche delle Sibille poiché è contornata dai rilievi di dieci Sibille, da

quella Cumana a quella Delfica nonché da due profeti biblici dall'oscuro significato: Michea e

Isaia.

Cappella degli Antenati

Madonna dell'acqua


Sembrava procedere bene per Sigismondo Pandolfo, il pontefice umanista Nicolò V gli

aveva concesso il benestare nel 1450, compiaciuto dell'opera, riconfermandogli vicariato e

successione dei figli ricevendolo con onore.

Nel 1456 sposò sontuosamente Isotta coronando il loro sogno di matrimonio non

traendone alcun vantaggio politico. [continua...]


Gianluca Vannucci

sabato 24 settembre 2022

L'ascesa di Sigismondo Pandolfo Malatesta

 


Calunniato nei secoli da storici ecclesiastici e dalla macchina propagandistica di Pio II, Sigismondo Pandolfo Malatesta nato il 19 giugno 1417 fu un abile condottiero, illustre generale, governatore e soprattutto colto mecenate.

Lo zio Carlo I Malatesta, senza figli, affidò a Lui la signoria di Rimini e Fano che  assunse nel 1432, appena 15enne. 

Sposò subito Ginevra D'Este, legandosi alla dinastia ferrarese e nello stesso anno l'Imperatore Sigismondo lo investì ufficialmente come cavaliere del Sacro Romano Impero. Appena due anni dopo inoltre papa Eugenio IV lo arruolò capitano generale della Chiesa.

Già nel 1437 commissionò la sua prima grande opera: Castel Sismondo, la rocca che domina Rimini dall'allora piazza del mercato, un sito strategico a fianco della cattedrale (e al tempo sede vescovile) di Santa Colomba e dietro la piazza del Comune.


A titolo di Cavaliere dell'Impero e Capitano generale della Chiesa partecipò al Concilio di Ferrara del 1438 e di Firenze indetto per tentare di unificare le chiese d'oriente e occidente, ove alla corte estense e a quella dei Medici poi conobbe la delegazione bizantina e, ascoltando i discorsi del filosofo gentile neoplatonico Giorgio Gemisto Pletone ne rimase colpito e divenutone discepolo si avvicinò alla Tradizione Gentile, approfondendo anche la filosofia Neoplatonica.


Frequentando le corti ferrarese e fiorentina Sigismondo entrò in contatto, oltre che con la famiglia Estense, a cui era già legato, anche con quella Medicea e con alcuni dei più importanti letterati e artisti dell'epoca, alcuni dei quali si trasferirono alla sua corte a Rimini.

Ben presto la città divenne un polo rinascimentale secondo solo a Firenze grazie anche all'apporto del poeta Basinio da Parma autore del poema Hesperis, e lo storico Roberto Valturio autore del De Re Militari dedicato proprio a Sigismondo Pandolfo, lodato come l'ultimo Imperator.

Anch'essi erano seguaci di Gemisto Pletone, creando nella città che fu porta d'Italia forse la più grande corte umanistico-filosofica nonché gentile dopo quella Medicea.


Tralasciando i pur gloriosi e importanti successi militari del Sigismondo contro lo storico nemico Federico da Montefeltro e un altro matrimonio combinato con Polissena Sforza nel 1442, il suo più importante legame affettivo fu con Isotta degli Atti che conobbe quasi da ragazzina. La loro relazione divenne pubblica solo nel 1449 anche se ebbero un figlio morto poco dopo nel 1447 poiché morì la allora moglie di Pandolfo, Polissena Sforza. [continua...]


Gianluca Vannucci

sabato 10 settembre 2022

La dinastia malatestiana

 




Elephas indus culices non timet”, l'elefante indiano non teme le zanzare, questo il motto della stirpe che nasce con Malatesta I Malatesta, condottiero nato a Pennabilli nel 1183 e fedele feudatario dell'imperatore Federico II. Divenne podestà della città di Rimini nel 1239 per la prima volta.

Ma l'esponente che creò la Signoria vera e propria dei Malatesta fu Malatesta da Verucchio che, fervido ghibellino, alla morte di Federico II e quindi col progressivo avanzare dei sostenitori papalini si dichiarò apparentemente guelfo e proclamò Signore di Rimini nel 1295.

Apparentemente perchè a differenza di altri guelfi la sua signoria fu abbastanza autonoma e in un certo qual modo atipica per un feudatario dello Stato della Chiesa.

La sua dinastia infatti entrò spesso in contrasto coi legati pontifici come nel caso di Pandolfo I nel 1317. Fu in questo periodo e soprattutto con Malatesta III detto “Guastafamiglia”, signore di Rimini dal 1299 al 1364 e figlio di Pandolfo I che nacque la storica rivalità coi Montefeltro, sempre in cerca di un posto al sole come alleati papalini prediletti.

Alleatosi con gli Estensi infatti sconfisse i pontifici ottenento riconoscimento imperiale nel 1347 e rientrò in Rimini e come capitano di ventura strinse alleanza anche con Firenze. Nel 1355 fu scomunicato anche se successivamente il fratello Galeotto I, che aveva condiviso con lui le battaglie fu nominato servitore della chiesa quale abile condottiero con l'intenzione di subordinare la signoria, ormai in rapida ascesa, all'autorità papale.

Carlo I Malatesta arrivò addirittura a divenire rettore vicario della Provincia Romandiolae per concessione di papa Urbano VI.

Tra alterne fortune, alti e bassi la Signoria durò per 3 secoli circa ma il più importante esponente di essa e signore della città fu sicuramente Sigismondo Pandolfo Malatesta figlio di Pandolfo III signore di Fano. [continua...]


Gianluca Vannucci

Post in evidenza

La Roma Celeste

Roma non è morta, Essa non è una città. Un empio tiranno che ha spento il Fuoco non significa nulla. Roma è una I-Dea, Roma-Amor . La Roma ...

Post più popolari