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Questo sito tratta in maggior parte del Culto Tradizionale Romano.

Spesso si sente definire la Tradizione: “vecchio culto”, oppure “antica religione”,

il nome di questo spazio tende a sottolineare che il Culto degli Dèi, essendo Essi per definizione “Eterni, Impassibili e Immutabili” non può che essere tale.

Il Fuoco è quello interno in ognuno di noi, il Fuoco di Vesta, ma non solo quello fisico, il ponte cioè che permise a Roma di divenire un vero e proprio Santuario a cielo aperto, spento dal tiranno Teodosio nel 391, è soprattutto la nostra anima.

“Il Fuoco Eterno” si prefigge non solo di raccontare e divulgare la Tradizione dei Padri, ma anche la storia dei nostri Popoli e della nostra Nazione.


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venerdì 1 dicembre 2023

Santa Barbara: l'eterno fuoco primigenio


Il 4 dicembre è festeggiata soprattutto popolarmente Santa Barbara. Il suo culto ebbe speciale diffusione dal medioevo, dal VI secolo circa e dico festeggiata dalla tradizione popolare perché alla chiesa non è mai piaciuta troppo questa santa. Innanzitutto sappiamo che non è un personaggio storicamente esistito, come quasi tutti i santi antichi, tant’è che la Chiesa Cattolica l’ha rimossa dal calendario con la riforma del 1969 perché appunto ritenuta personaggio inventato. Cosa che effettivamente è, parliamo più che altro di un archetipo.

Ma Barbara non è mai stata troppo apprezzata dalla chiesa e il suo culto fu progressivamente osteggiato dalla controriforma in poi, forse perché ci avevano visto altro dietro.


Nel frattempo però Barbara è divenuta molto amata dal popolo nel corso dei secoli. È infatti patrona dei minatori, geologi, vigili del fuoco, artificieri e artiglieri, architetti e quasi tutte le professioni artigiane ma soprattutto quelle che hanno a che fare col fuoco, ma come mai?

 

La sua agiografia è completamente inattendibile ed è pressochè impostata come una sorta di fiaba.

La storia, che ha innumerevoli versioni nessuna delle quali antica o contemporanea,  narra sostanzialmente che Barbara era una giovane figlia di Dioscuro (notiamo anche qui il nome, “Figlio di Zeus”), ovviamente un uomo di religione Gentile che chiuse la figlia in un’altaa torre per evitare pretendenti insistenti. Barbara innanzitutto volle che ci fosse 3 finestre nella torre, né 1 né 2 ma 3. E questo è un indizio che potrebbe significare i 3 stadi dell’Essere, dell’anima. (Ovviamente nell’agiografia è associato alla Trinità). Prima poi di entrare in questa torre Barbara si immerge in una piscina adiacente per 3 volte battezzandosi autonomamente. Torna la forte presenza della triplicità.

A questo punto le versioni si dividono, da alcune più smaccatamente ecclesiastiche che vedrebbero filosofi e oratori sbeffeggiati da Barbara ad altre vicende superflue. Fatto sta che Dioscuro scoperta la conversione avrebbe denunciato la figlia ad un magistrato in quanto eversiva cristiana oppure torturata la egli stesso e per questo sarebbe stato fulminato (da ricordarsi che Dioscuro significa Figlio di Zeus).

 

Analizziamo ora la figura di Santa Barbara. Innanzitutto è patrona di mestieri artigiani ed è legata al fuoco e ai fulmini, cosa che a mio parere la lega ad una Dea celtica (gallo romana anche) quale Brigantia. Chiamata anche Belisama “luminosa” Essa è La Dea degli artigiani ma anche dell’acqua e del fuoco, la cosiddetta Madonnina di Milano è praticamente Belisama. Inoltre nella continuazione del culto celtico, proseguita in Irlanda, Brigantia è spesso raffigurata triplice.

È vero quindi che la triplicità la lega ad Hekate di primo acchito ma c’è molta più probabilità a mio avviso che Santa Barbara nasconda il culto di Belisama/Brigantia(Brigid. Considerando anche che Menrva etrusca originariamente era legata Essa stessa ai fulmini e che Belisama fu dai Romani identificata con Minerva.

 

Ma non è finita qui, spesso infatti è raffigurata turrita e la sua figura è legata anche alle torri, come dimostra il racconto sopracitato, Le offerte di rose lasciatele dai minatori anche recentemente la legano alla Magna Mater, a quella Cupra italica che si lega anche un po’ a Venere. 

Le sembianze ricordano Cupra, Cibele, La Magna Mater e anche La "Fata Turanna" dei racconti romagnoli ottocenteschi, che altri non è che Venere.


Un'offerta a Santa Barbara nei pressi di una miniera 


 

Ma non è finita qui perché infatti la santa è festeggiata il 4 dicembre, e la sera tra il 3 e 4 dicembre sul lato tedesco delle Alpi apparivano in città le cosiddette Bärbele, una sorta di Krampus al femminile. Le Bärbele arrivano dai boschi in città con fragor di campanacci e dall’aspetto bestiale, come delle befane, delle perché figure alle quali sono accomunate. I volti mostrano tratti di una vecchia con muschi e licheni ormai cresciuti su di esso, Devono necessariamente essere femminili e sono, a vestirne i panni, ragazze nubili dai 16 in poi. Sono benefiche e donano dolci o frutta secca soprattutto a madri e bambini poi tirata fuori una scopa spazzano le case allontanando la negatività, ma se uno si avvicina troppo lo colpiscono. Esistono anche in Val di Susa e si chiamano Barbuire.


Barbele in processione

 

Per la loro similitudine ai Krampus, che altri non sono se non una rappresentazione di Faunio-Silvano, ma soprattutto perché ai primi di dicembre, proprio la notte tra il terzo e il quarto giorno del mese di december vi era un rito a Bona Dea (dal nome reale impronunciabile per un maschio) celebrato dalle sole donne, ritengo che in definitiva la figura di Santa Barbara possa identificarsi con La Bona Dea romana e La Brigantia celtoromana.

 

Il nome poi Bärbele ricorda la figura gnostica di Barbelo, La Dea suprema degli gnostici, principio assoluto femminile, paragonabile nelle Sue forme più alte alla Kore Noetica e, in Pistoia Sophia in quanto pare era del “Dio invisibile” se identificato con Pan-Fauno sempre La Bona Dea mentre se identificato con un Dioniso allora Venere-Afrodite.

La molteplicità di Dee alla quale Barbara è legata potrebbe dopotutto venire dal fatto che Essa è Barbelo “il Triplice nome androgino” o Enne Eterno. Infatti nelle varie geografie spesso Barbara cambia la sua origine ma è quasi sempre egiziana, lo gnosticismo soprattutto si sviluppò nell’Egitto romano.

E quindi da principio assoluto femmineo torna perfettamente il suo legame con Cupra e anche con Bona Dea. Il calice inoltre, altro suo simbolo, rispecchia il cratere delle anime, il ricettacolo dal quale ogni anima proviene, che altri non è se non Hekate/Cibele.

Onoriamola anche sotto questa forma, che i nostri antenati crearono in un periodo oscuro al fine di poter mantenere la Pietas.

 

Gianluca Vannucci 

giovedì 23 novembre 2023

Caterina d'Alessandria e il culto di Ipazia

 


Il 25 novembre la chiesa festeggia come santa e megalomartire Caterina d’Alessandria.

Santa che fu molto importante ed ebbe diffusissimo culto soprattutto nel Medio Evo e nel Rinascimento.

Fu in seguito tolta dall’elenco dei martiri e santi da festeggiare con la riforma del 1969 perchè non ci sono prove storiche della sua esistenza, infatti le sue agiografie sono tutte molto tarde, la più antica è una passio greca del Vi-VII secolo, poi un’altra dopo l’anno 1000 e la Leggenda Aurea del XIII secolo di Jacopo da Varazze, che sappiamo scrisse su commissione della chiesa diverse favole agiografiche inattendibili.

Ma a mio parere fu rimossa anche per un altro motivo che scopriremo più avanti, ora vediamo chi fu questa presunta Caterina d’Alessandria secondo l’agiografia.

Nel 305 un non specificato imperatore romano tenne ad Alessandria dei festeggiamenti, Caterina una bella e colta egiziana si presentò nel bel mezzo di alcuni riti e al contrario di altri cristiani, si rifiutò categoricamente di sacrificare per la solita solfa di ogni agiografia, chiese quindi all’imperatore di riconoscere Cristo come redentore, argomentando con profonde tesi filosofiche il tutto.

Colpito dalla sua bellezza l’imperatore convocò dei retori e filosofi al fine di ribattere a Caterina e convincerla ad onorare Gli Dèi, l’imperatore le chiese inoltre la mano.

Ma indovinate un po’? ovviamente fu Caterina, con le sue argomentazioni, a convertire tutti i filosofi e retori.

Allora l’imperatore così a caso la condannò a morte col supplizio della ruota dentata, ma dal cielo un fulmine spaccò a metà la ruota e l’imperatore la fece decapitare. Dal collo zampillò latte invece di sangue.


Ora appare ovvio che tutto ciò sia un delirio puro e semplice ma a voi non ricorda proprio niente questa storia?

Una bellissima egiziana studiosa, scienziata e filosofa invidiata e apprezzata anche da chi era della religione opposta.

Un tiranno che non riesce a piegarla e quindi deve farla uccidere.


Ma si, sembra un po’ troppo simile alla vicenda di Ipazia, quella però accaduta veramente.

La filosofa era molto influente ad Alessandria nel 415 quando il vescovo Cirillo stufo della sua superiorità culturale nonchè dell’appoggio del prefetto Oreste, inviò un’orsa di parabolani, monaci integralisti che letteralmente la presero alle spalle e la fecero a pezzi tramite cocci con violenze indicibili. Insomma martirizzata per usare un termine tanto caro ai cristiani.


È possibile che la notorietà e il mito di Ipazia, che doveva avere molti sostenitori sul finire dell’impero (quello bizantino in Egitto durò fino al VII secolo, data guarda caso della prima passio di Caterina) fosse scomoda alla chiesa e che bisognasse trovare un nuovo modello di virtù cristiano, magari spostando il culto eroico di Ipazia su una santa.

Questa santa molto venerata (solo in Italia è patrona di circa 30 comuni) sembra spuntata dal nulla nel corso della storia, non sarebbe del resto il primo caso ma questo è emblematico, perchè sembra una sorta di transfert psicologico da parte dei cristiani, che si macchiarono di quell’orrendo crimine e crearono una figura ex novo per onorare Ipazia, una “santa” pagana, senza generare scandalo e soprattutto, da parte del clero, senza generare odio nei loro confronti per l’accaduto ma anzi dirigendo quest’odio contro gli imperatori e i  Romani in generale

È noto infatti che Ipazia diede molto filo da torcere a Cirillo, fanatico e corrotto patriarca d’Alessandria fatto santo e dottore della chiesa per l’invenzione del culto della Madonna quale Madre di Dio (quando lo era solo di Cristo) nel concilio di Efeso del 431, la città ovviamente non fu scelta a caso ma per depredare il culto di Diana Efesina, che de fatto è la Madonna (La Signora, infatti semplicemente vuole dire questo).


E non sono io a dirlo ma già studiosi come la storica Silvia Ronchey e Anna Jameson notarono queste strane similitudini tra le due figure.

Ovviamente però la giustizia storica come ben sappiamo è pura utopia in quest’epoca, nonostante infatti fu tolta Caterina d’Alessandria dal martirologio fu di nuovo reintrodotta negli anni 2000 da Giovanni Paolo II nell’ambito della  sua restauratio della chiesa cattolica, ormai in evidente declino, senza minimamente accennare agli studi fatti o a Ipazia. Del resto dopo i fatti appurati è rimasto Cirillo come santissimo e dottore della chiesa…. Insieme a tanti altri criminali.


Ma fermiamoci qui, dato che abbiamo parlato abbondantemente del mascheramento operato da parte della chiesa sulle vicende e la venerazione di Ipazia.

Passiamo invece ad analizzare il culto e significato di Caterina.

Guarda caso è patrona degli studiosi.

Nei proverbi del culto popolare italiano viene sempre affiancata all’inno benda dell’inverno, e del resto la sua celebrazione cade il 25 novembre.

È considerata una porta annuale dell’inverno insomma.

A Ravenna si regalano alle bambine dei biscotti a forma di bambola, chiamati Caterine, mentre ai bambini un biscotto a forma di gallo, molto “gianico”.

Questo, se immaginata come paredea gianica la paragona ad una ipostasi dianica.


In epoca romana (ma anche bizantina fino appunto al VII secolo che ritorna centrale nella figura di Caterina) si festeggiavano il 24 novembre i Brumalia, dei quali ho parlato nel mio articolo. L’inizio insomma del mese delle nebbie, della bruma, che precedeva i Saturnali e il Natale. Venivano offerte libagioni a Saturno, Cere e Bacco.

La figura di Caterina è associata anche alla mezzaluna calante in quanto in alcune filastrocche popolari è chiamata come vecchia o strega in modo molto simile alla Befana.

La ruota di santa Caterina spezzata (proprio come il quarto di Luna) a metà potrebbe rappresentare proprio l’anno, ormai finito o comune il tempo sospeso prima del Solstizio, vero inizio astronomico del nuovo anno o anche fino all' Epifania, mezzaluna crescente (se calcoliamo il 6 come None antiche di gennaio) che chiude il periodo solstiziale.

Sembra simile in alcuni proverbi, oltre alle accumunanze con Diana, alla Cailleach celtica, Dea dell'inverno che, secondo alcuni studi etimologici sarebbe stata diffusa non solo in Irlanda come culto, ma anche presso i Celti continentali, ad esempio la regione della Galizia prenderebbe nome da questa Signora dell'inverno e i suoi abitanti i Kallakoi in greco (Callaeci in latino) sarebbe stato loro dato proprio dai mercati greci e significherebbe "adoratori di Cailleach". 

Emblematica a questo proposito una filastrocca del nord Italia che fa così "Caterina trich e trach

ha ucciso quaranta vacche e ne ha mangiata solo una Caterina della mezza Luna". 

Questo accostamento alla mezzaluna e soprattutto alle vacche ricorda da vicino una leggenda scozzese secondo la quale una sera la Dea, stanca per aver fatto pascolare le sue mucche per le valli tutto il giorno, si addormentò esausta e si dimenticò di chiudere il pozzo di cui era guardiana.

L'acqua sgorgò potente e fece affogare gli abitanti del villaggio e tutto il bestiame fino a fermarsi in una cavità nella terra, formando così il lago LochAwe.

In questo caso le vacche che hanno una numerazione precisa nella filastrocca di Caterina potrebbero simboleggiare i giorni invernali fino all'Epifania mentre nel caso del racconto di Cailleach le mucche, simbolo di fertilità, morte rappresentano l'inverno, presieduto dalLa Dea. 

Le similitudini sono schiacianti, il fatto poi che sia collegata al quarto di Luna, all'inverno, alla filatura (in altre filastrocche) conferma Santa Caterina d'Alessandria cone ipostasi o quantomeno equivalente oltre che a Cailleach alla Perchta/Holda.





Gianluca Vannucci



 

lunedì 30 ottobre 2023

San Demetrio e la settimana dei morti


Nessuna descrizione della foto disponibile.



Il 26 ottobre soprattutto in territori ortodossi come l'est Europa, la Grecia ma anche il sud Italia si festeggia San Demetrio e con esso inizia il periodo dei morti.


Chi sarebbe Demetrio? L'agiografia è vaghissima e la prima prova della sua esistenza si ha soltanto 175 anni dopo il suo presunto martirio (sotto Diocleziano, povero Princeps quante calunnie da parte dei cristiani...) infatti in realtà questo San Demetrio non è mai esistito, è un'idea.

È patrono dei crociati e dei militari in maniera speculare a San Giorgio e come esso è legato ai Misteri Eleusini.

Infatti come San Giorgio il 23 aprile presiede ai Misteri Minori San Demetrio (guardacaso patrono insieme a Giorgio di Eleusi e grandemente onorato e festeggiato) presiede a quelli Maggiori.


I morti erano chiamati Demetrii in Grecia perché sotto la tutela di Demetra così come in latino Kerriti, riferendosi a Keres, La Dea oltre che delle messi anche del Mundus.

San Demetrio altri non è che uno sdoppiamento del Cavaliere Trace che abbiamo già visto come ipostasi in San Giorgio.

Infatti i "cavalieri" sono 3 e si dipanano tra i mondi, i 3 Coribanti appunto.

Quello bianco è stato identificato con San Giorgio ed è il più"alto" il Cureta delLa Magna Mater e rappresentante anche dell' albedo;

Quello rosso, Demetrio appunto si identificherebbe col drago che difende Eleusi dai saccheggiatori, il drago di Demetra.

Il terzo sarebbe identificato Teodoro un terzo cavaliere martire dal cavallo scuro, la nigredo.

Ex patrono di Venezia e quindi in qualche modo legato anche a Reitia come Belos Equorios.

Proprio nel periodo che anticamente era delle purificazioni (febbraio).

Così fino al dopoguerra è rimasta l'eco dell'antico periodo dei morti con le feste, che partivano da San Demetrio (il 26 ottobre) in poi e, con buona pace dei neo-cristiani tradizionalisti alle prese con turbe isteriche protestanti, con tanto di zucche e rape intagliate. 

Come fra le altre cose documentato da un sito romeno:

"Nella notte di San Demetrio c'è l'usanza dei falò accesi sulle colline, su ruote di carri o alberi in fiamme, che simboleggiano la morte e la rinascita della natura. Il fuoco di San Demetrio richiama la purificazione, la fertilità e fa persino da oracolo, in quanto si fanno le previsioni del tempo", spiega Natalia Lazăr, etnologa presso il Museo della Contrada di Oaş (Muzeul Ţării Oaşului).

I falò alla vigilia di San Demetrio commemorano in ugual misura gli antenati. Nei villaggi tradizionali, c'era l'usanza di mettersi attorno al fuoco, cantare e offrire cibo e bevande alla memoria dei defunti. Si credeva che i morti alla memoria dei quali non fossero stati offerti cibi, si sarebbero trasformati in fantasmi che avrebbero poi tormentato i parenti in vita. Toccava soprattutto alle donne andare a trovare la gente seduta attorno ai falò, per offrire frutta autunnale: prugne secche, uva, noci e pere.

Sempre la fine del mese di ottobre segna anche un momento importante nella trasformazione del tempo, aggiunge Natalia Lazăr. "Se San Giorgio apre i campi, segnando l'arrivo della primavera, la rinascita della natura e l'inizio della stagione della pastorizia, sei mesi dopo arriva San Demetrio, portando l'autunno e il freddo, e chiudendo i campi e il periodo della pastorizia. Il folclore ritiene fratelli i due santi, e nell'iconografia romena vengono a volte raffigurati insieme. Una leggenda della contrada del Maramureş fa riferimento al fatto che Dio ha consegnato ai due santi le chiavi del tempo. San Giorgio fa inverdire le foreste, mentre San Demetrio porta via le foglie. Con la stessa chiave, i due santi chiudono e schiudono le porte del cielo e il calore del Sole"


Insomma la Tradizione, lungi dall'essere estirpata brutalente ha trovato una via per resistere anche attraverso le insidie di quelle epoche buie. Il nostro Fuoco Eterno dovrà aiutarla a resistere in questi, per certi versi ancor più tremendi, tempi materialisti.


Gianluca Vannucci


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